mombaldone_stemmaMombaldone
Vecchio Piemonte

Comune di MOMBALDONE
(Provincia di Asti)
Altitudine
m. 260 s.l.m.
Abitanti
234

info turismo
Palazzo Comunale – via E. Cervetti, 15 – Tel. 0144 950680
Pro Loco, via Ostero 11 – Tel. 349 700 6024
www.comune.mombaldone.at.it
www.borghisostenibili.it

Lo spirito del luogo

mombaldone_stemmaIl nome
Mombaldone era, in antico, Mons Baldus (dal germanico Bald ovvero “monte”), la collina su cui stavano gli otto mansi del monastero di San Quintino di Spigno.

 

La storia
VI-VII sec., Mombaldone è sotto il dominio dei Longobardi.
991, il luogo è citato per la prima volta in un documento pubblico, l’atto di fondazione dell’abbazia di San Quintino a Spigno Monferrato: Anselmo, figlio di Aleramo I (nel 967 proprietario della Marca di Savona-Monferrato), dota il monastero da lui fondato di terre, tra cui gli otto mansi di Mons Baldonis.
1209, nel mercato del Duomo di Asti Ottone Del Carretto è investito del feudo di Mombaldone.
1280-1340 ca., Mombaldone cresce grazie soprattutto a Enrico IV Del Carretto, marchese di Finale, che la dota di nuove case, un pozzo, ulteriori difese intorno al castello e cunicoli coperti.
1382, Amedeo VI di Savoia diventa signore del feudo di Mombaldone; l’autorità dei Savoia sul feudo è confermata nel 1531 dall’imperatore Carlo V, che concede molti privilegi ai marchesi Del Carretto di Savona, tra cui il titolo di Vicari Imperiali del Sacro Romano Impero, la possibilità di conferire lauree e di battere moneta.
1470, dai documenti si apprende che “alla corte dei marchesi Del Carretto signori di Mombaldone” a tavola è servito un menù comprendente “tre servitii de credentia et due de cucina”, indubbia testimonianza di amore per la buona cucina regionale.
1637, l’8 settembre un tentativo di occupazione spagnola del castello è sventato dalle truppe franco-savoiarde comandate da Vittorio Amedeo di Savoia.
1706-1708, al termine della guerra di successione del Monferrato e alla vigilia della formazione del Regno di Sardegna (1720), il feudo è confermato ai Savoia; inizia per Mombaldone un lungo periodo di tranquillità: a fine Settecento i Del Carretto incoraggiano i primi tentativi di bachicoltura, attività che favorirà il benessere della popolazione per tutto l’Ottocento.
1799, il passaggio delle truppe napoleoniche porta morte e devastazione.

Caro, vecchio Piemonte. Mombaldone è un paese di dettagli colorati: gerani che incendiano davanzali e terrazzi, oppure ortensie generose. Sono le sfumature, i particolari che denotano l’attenzione dei residenti per il loro borgo: un picchiotto di bronzo, una minuscola finestra sghemba ingentilita da antiche tende o da pizzi e crochet, portoni d’ingresso scolpiti in legni secolari. E il silenzio. Passano anche le macchine a Mombaldone, certo, ma con cadenza e frequenza d’altri tempi, perché il borgo chiede di essere visitato a piedi, per non lasciarsi sfuggire neanche un’emozione.
In dialetto savonese (perché questa è terra di confine, la Liguria è a due passi), Franco Molini ha scritto il suo “Inno a Mombaldone”, che in italiano forse suona banale (“In alto sopra il colle/con chiesa e campanile/tu guardi nella valle/con l’occhio di un fienile…”), mentre va gustato in dialetto, per chi lo sa: “De dätu in çimma a u briccu / cun a gëxa e u campanìn, / ti guäci in ta valida / cun l’euggiu da fenëra…”. Arpione sabaudo nella Langa dei “sette guadi”, dove svettava il pennone aleramico (la dinastia dei Del Carretto iniziata dal grande Aleramo) e Vittorio Amedeo I Duca di Savoia combatté la sua ultima battaglia, Mombaldone non chiede che di tornare alla sua pace agreste, piccolo gioiello di intatto medioevo in questa frangia del basso Piemonte bagnata dal fiume Bormida.

Immerso nei calanchi, come un’oasi in un deserto di tufo ingentilito dalle ginestre, Mombaldone è l’unico borgo della Langa Astigiana ancora cinto delle mura originarie. Passeggiare per la sua unica via centrale, da cui si dipartono vicoletti e passaggi, archivolti e cortili, significa compiere un percorso della memoria, un viaggio a ritroso nel tempo.

L’antico borgo castellano, di carattere medievale, ancora ben conservato, è sorto in epoca romana in prossimità del percorso della via Aemilia Scauri, tratto della più famosa via Julia Augusta che dalla ligure Sabazia (Savona) immetteva ai varchi per la Padania. L’abitato si snoda in due settori separati dal castello, oggi in rovina. Le unità edilizie, caratterizzate da strutture medievali, offrono particolari costruttivi in pietra arenaria, dai davanzali alle finestre, dai portali (alcuni con stemma carrettesco) ai voltoni. Molte sono le facciate in pietra serena e pietra di Langa.

L’impianto urbanistico è semplice: a schema lineare servito da un’unica strada maestra, lastricata in ciottoli e sternìa. L’abitato è rafforzato verso la valle da forti muraglie difensive. Partendo da via Cervetti, si può ammirare la Porta d’ingresso al ricetto, ad arco acuto, intatta nella sua forma di origine medievale. Essa costituisce l’accesso al borgo antico, il cui agglomerato a stesura lineare con asse sulla strada maestra è ricco di residenze di impianto rinascimentale, rimaneggiate, abbellite o ripristinate tra la metà del Seicento e i giorni nostri. Sulla Piazza Umberto I, epicentro del borgo, convergono le maggiori emergenze monumentali. La prima è l’Oratorio dei Santi Fabiano e Sebastiano, edificato sul fossato del castello nel 1764, su disegno di Pietro Barozzi, e restaurato nel 1995-1997: l’ampia e sobria aula, con decorazioni del 1883, ospita attualmente convegni, mostre, riunioni, manifestazioni culturali e musicali. La seconda è la chiesa parrocchiale di San Nicola, costruita da Giovanni Matteo Zucchi nel 1790 a pianta esagonale, sempre sul fossato del castello. L’interno custodisce tele secentesche, fra cui alcune di Giovanni Monevi, e un gigantesco organo realizzato dai torinesi fratelli Collino nel 1885.

Oltrepassata la piazza, la strada s’inerpica verso la sommità più elevata del borgo, dove il paese si disperde nella campagna. Si fiancheggia ciò che resta del Castello (XIII-XIV sec.), parzialmente demolito nel 1637. Al centro del castello si erge una torre quadrata, ora poco più che un rudere, diroccata non solo dal tempo e dall’incuria ma anche per volontà nobiliare. Fu, infatti, il marchese Aleramo del Carretto, alla cui famiglia fin dal 1209 fu concessa l’investitura del feudo di Mombaldone, a donare nel secolo scorso parte delle pietre della torre per consentire l’ultimazione del tratto di ferrovia che collega Mombaldone a Spigno. I discendenti dei Del Carretto sono ancora oggi insediati nel Castello: non dominano più sugli abitanti, ma vegliano amorevolmente sulla conservazione del borgo e della sua identità storico-culturale.

In via Roma, infatti, tra il muraglione del Castello e l’oscura Portiola – un antro sorretto da volte in pietra a vista che metteva in comunicazione la strada maestra con la ripida discesa in fondo alla quale stava, vicino al fiume, l’abbeveratoio dei cavalli pronti ad essere cavalcati in caso di fuga precipitosa – si trova il palazzo detto la Fortezza. Il massiccio edificio con esterni in pietra a vista, documentato già nel 1209 e a più riprese rimaneggiato, dal 1981 è sede dell’Aldilà, un ristorante di richiamo internazionale, dove la marchesa Gemma Del Carretto conduce i suoi ospiti in affascinanti saloni d’atmosfera illuminista con arredamento “giuseppino” e “teresino”, quindi settecentesco. E la storia nobiliare della famiglia è qui ingrediente irrinunciabile.

A nord del ponte sul Bormida, il vecchio Molino di Mombaldone (XVI-XVII secolo) è un’antica costruzione che nei secoli ha assicurato la sopravvivenza alla comunità locale, ma è ormai priva delle originarie attrezzature.

BORGO Staz di riferimento distanza da staz. tratta
MOMBALDONE Mombaldone – Roccaverano 550m Alessandria – S. Giuseppe di Cairo
Piaceri e Sapori

Mountain bike, passeggiate, escursioni e trekking nella Langa Astigiana, canoa sul fiume Bormida e, infine, lo sport tipico del luogo: la palla a pugno.

Incastonati in uno scenario naturale di grande interesse, sedici paesi formano la Langa Astigiana, un territorio di torri, boschi, vigne, prati compreso tra Piemonte e Liguria, tra pianura e Appennino, tra Langa e mare. Sono borghi antichi, che hanno conservato in parte le loro strutture, con i castelli e la chiostra di torri a dominio dei colli, le pievi in pietra arenaria e le parrocchiali barocche, le cantine scavate nel tufo e il vento, il marin, che sa di riviera.
Sedici paesi: “Un paese ci vuole, / non fosse per il gusto di andarsene via. /Un paese vuol dire non essere soli, / sapere che nella gente, nelle piante, nella terra / c’è qualcosa di tuo / che anche quando non ci sei / resta ad aspettarti ” – scriveva Cesare Pavese ne La luna e i falò. Se Mombaldone è forse il meglio conservato, molti altri borghi sono da vedere. Come Roccaverano, immerso in uno scenario di boschi e terrazze, di cascine e di pascoli, che vanta una delle più belle piazze del Piemonte, su cui si affaccia la splendida parrocchiale bramantesca. Da Roccaverano, che è il paese della robiola Dop,seguendo il crinale di Langa si arriva alla chiesa cimiteriale di San Giovanni, che custodisce il più completo ciclo di affreschi gotici dell’Astigiano.
Chi è in cerca di emozioni nella natura, può girare nei boschi, tenendo presente che è soprattutto in autunno che la Langa si esalta di profumi, odori e colori. I boschi sono ricchi di funghi e di tartufi, e innumerevoli sono le occasioni gastronomiche di questa regione. Mombaldone è anche a un passo dalle terme di Acqui e dai territori vinicoli di Canelli e Alba.
Per informazioni: Comunità Montana Langa Astigiana, via Roma 8, tel. 0144 93244, www.langastigiana.at.it

Sagra delle Frittelle, ultima domenica di maggio, presso il campo sportivo comunale in località Ostero.

Historia Montis Baudonis, ultimo fine settimana d’agosto. Figuranti in costume fanno rivivere le vicende antiche, rappresentando episodi storici come il matrimonio della marchesina Ilaria Del Carretto, il processo dell’Inquisizione alle streghe di Spigno del 1631, la rievocazione storica della battaglia del 1637 o il passaggio delle truppe di Napoleone del 1799. Il borgo apre le porte ai turisti con taverne, botteghe, mostre e mercatino aleramico. Si cena col menu del viandante o a lume di candela accompagnati da musiche celtiche e rinascimentali.

Musica a Mombaldone, fine agosto – inizio settembre: rassegna di musica classica e popolare; i concerti si svolgono all’aperto o nell’Oratorio di San Sebastiano.

Festa della Madonna del Tovetto e Feria Española, 8 settembre. È una festa patronale di antica tradizione, che si svolge nel giorno della battaglia del 1637. Dopo la Santa Messa e la processione con la statua della Madonna portata in spalla dai fedeli fino alla chiesa del Tovetto, inizia la parte profana con cena spagnola a base di pesce, paella e sangria. Durante la battaglia gli spagnoli spararono alcuni colpi di cannone contro il castello, che non andarono a segno: riconoscenti alla Madonna per lo scampato pericolo, i mombaldonesi murarono due palle di cannone all’interno della chiesa del Tovetto, e da allora celebrano la loro festa patronale.

Fiera del Montone Grasso, 2 ottobre, presso il campo sportivo comunale in località Ostero. Rappresenta l’ultima occasione di contrattazione “all’antica” per i numerosi allevatori ovicaprini della zona e, per tutti, l’ultima opportunità di baldoria e di acquisti prima dell’arrivo della brutta stagione. Informazioni presso il Comune, tel. 0144 950680.

Il menù di Mombaldone comincia con un antipasto di salame locale (bichiré), prosegue con un primo di pasta fatta in casa (i tajarìn) o di ravioli al plìn, mentre per i secondi la scelta è tra il capretto di Langa, il montone grasso arrosto, la trippa o il bollito in salsa verde (il tradizionale bagnét). Si finisce con una delicata robiola Dop di Roccaverano accompagnata da mostarda e miele.

Mombaldone capretteCapre, caprette, montoni, non è raro incontrarli a Mombaldone. Guidati al pascolo da un cane e da un anziano contadino, si arrampicano sui calanchi più aridi e brucano arbusti, erbe e piante aromatiche che conferiscono al latte un sapore del tutto particolare. L’allevamento caprino, dopo un periodo di stasi, sta conoscendo oggi nuova fortuna, grazie soprattutto ai buoni guadagni garantiti dalla robiola Dop di Roccaverano. Anche i ristoranti di chiara fama hanno scoperto la delicatezza della carne dei capretti di questa terra. Le aziende più importanti selezionano montoni da riproduzione per garantire la sanità della razza e il mantenimento delle qualità tradizionali.