POLCENIGO_StemmaPolcenigo
Acque fresche e ritmi lenti

Comune
di Polcenigo

(Provincia di Pordenone)
Altitudine
m. 43 s.l.m.
Abitanti
3.167 (197 nel borgo)

Patrono
San Giacomo Apostolo, 25 luglio
info turismo
Comune, Piazza Plebiscito 1 – Tel. 0434 74001
www.comune.polcenigo.pn.it
www.prolocopolcenigo.com

Lo spirito del luogo

POLCENIGO_StemmaIl nome
Deriva dal toponimo prediale romano Paucinius (che significa “territorio appartenente a Paucinio”). Il suffisso in “igo” lascia intendere anche un’origine celtica. La versione romantica rimanda a una poucelle (pulzella, ragazza) che era la figlia, molto bella, del francese conte di Blois, al quale nell’anno 875 Carlo il Calvo avrebbe donato il territorio di Polcenigo.

 

La storia
V millennio a.C., il sito archeologico del Palù ha portato alla luce un villaggio palafitticolo (in realtà, su bonifica) abitato da una tribù che praticava la caccia e la raccolta.
Età del ferro, la zona è abitata da popolazioni di probabile origine venetica, forse mescolatesi con i Celti.
I sec. a.C. – I sec. d.C., tessere di mosaico, monete, frammenti di vasi e laterizi trovati nei campi sono i segni della dominazione latina, rimasti anche nel toponimo.
V – VI sec., l’espansione del cristianesimo dà origine a una pieve rurale fra le primissime del Pordenonese e a una chiesa molto antica come San Floriano, dalla quale derivarono poi le altre chiese e parrocchie locali.
963, l’imperatore Ottone I concede in feudo al vescovo bellunese Giovanni vari territori, fra i quali quello di Polcenigo; il prelato a sua volta infeuda una famiglia di soldati, che sarebbero divenuti i signori e poi, nel XII-XIII sec., i conti di Polcenigo; i feudatari, vassalli del principato ecclesiastico di Aquileia, costruiscono il castello dal quale sorvegliano il territorio; come conseguenza dell’aumentato prestigio del castello nasce il borgo, la cui prima menzione storica si ha nel XIII sec.
1445, al dominio temporale del Patriarca subentra quello della Repubblica di Venezia; i conti di Polcenigo con i nuovi padroni veneziani continuano a esercitare i loro poteri giuridici e fiscali sui sudditi, imprimendo intanto un certo sviluppo alle attività economiche, legate all’agricoltura e all’allevamento; nel territorio si diffondono mulini e segherie che sfruttano le acque della zona, e si pratica la silvicoltura per rifornire di legno le città vicine e la stessa Venezia.
XVII sec., cresce l’allevamento dei bachi da seta e sorgono le prime filande.
1796, con la caduta della Repubblica di Venezia Polcenigo vive un momento travagliato, a causa di carestie, epidemie e guerre napoleoniche; in meno di vent’anni passa dal dominio francese a quello austriaco, e viceversa, per finire nel 1814 fra i domini degli Asburgo; sotto l’Austria Polcenigo resta fino al 1866, quando entra nel Regno d’Italia.
1877, s’intensifica l’emigrazione verso i paesi europei (anche Romania e Russia) e soprattutto il Nord America
1917-18 occupazione austro-tedesca, seguita dalla epidemia di spagnola con decine di vittime.

Un borgo figlio di contadini, tagliapietre e cestai, con nove chiese, vari palazzi storici e il ricordo di un vecchio maniero che i conti del luogo trasformarono in palazzo veneziano del Settecento: ecco Polcenigo, che i suoi abitanti chiamano semplicemente al borc, «il borgo», in friulano occidentale. Bifore, trifore e mascheroni di pietra fanno capolino dalle dimore del centro, e forse qualcuno ricorda che a cavallo tra Sette e Ottocento, all’epoca delle filande, qui funzionava una rinomata fabbrica di calzette di seta.Intreccio di elementi naturali (acque, prati, monti) e umani (palazzi, chiese, mulini, vecchie case rurali), Polcenigo è attraversata e accarezzata dalle acque, siano esse i ruscelli in cui si lavavano i panni, i torrenti che scendono dalle montagne, le acque di risorgiva, le marcite da cui ricavare erbe in abbondanza, o il fiume Livenza che serpeggia tra prati e boschi.

La visita del borgo comincia dal castello, che sorge in cima a una collina da cui domina il l’intera vallata. Come posto di avvistamento, tradizione vuole che sia stato assegnato nell’ 875 da Carlo il Calvo a un suo luogotenente. Come castello, per quattro secoli resistette a guerre e invasioni; distrutto da un incendio, fu ricostruito tra il 1738 e il 1770 come villa veneta dall’architetto veneziano Matteo Lucchesi e fu connesso al borgo di sotto tramite una scalinata di 365 gradini in pietra.

Degli splendori di un tempo rimangono solo le mura perimetrali e parte della chiesa di San Pietro. La piazza è dominata da palazzo Fullini, una delle dimore signorili cinque – secentesche che impreziosiscono Polcenigo. Secondo alcuni opera dell’architetto Domenico Rossi, apparteneva alla famiglia Fullini che nel Seicento acquistò il titolo di conte dalla Repubblica di Venezia. L’esterno è caratterizzato dal porticato con cinque archi a bugne, da due trifore con graziose colonnine e poggiolo e da numerosi mascheroni. All’interno sono conservati stucchi del Settecento.

Proseguendo lungo via Gorgazzo troviamo palazzo Scolari-Salice, una dimora gentilizia del XVI secolo ristrutturata nel rispetto dell’originaria tipologia. Il bel giardino ottocentesco all’italiana del palazzo è addossato alla collina e vi si accede mediante un ponte che attraversa un torrente.

Lungo la via Coltura troviamo una serie di palazzi del “borgo di sotto”, come palazzo Zaro che fu venduto dai conti di Polcenigo, insieme ad una parte del titolo, alla famiglia Manin per riscattare i fratelli Marzio e Gio Batta caduti prigionieri dei turchi.
Il palazzo che ospita il teatro è databile al XVI secolo: era il teatro dei conti di Polcenigo.

Situata tra il borgo e il castello, la chiesa di San Giacomo in origine era la chiesa di uno dei primi conventi francescani del Friuli, già esistente nel 1262. Al suo interno convivono elementi di varie epoche, come il portale cinquecentesco, l’armonioso interno settecentesco, affreschi trecenteschi, una settecentesca Natività della Vergine del pittore veneto Egidio Dall’Oglio. Inoltre custodisce un organo settecentesco del veneziano Giacinto Pescetti, pregevoli altari marmorei e arredi lignei quali gli stalli settecenteschi.

L’oratorio di San Rocco risale al XIV secolo e porta tracce di rimaneggiamenti secenteschi. Lo affianca una massiccia torre campanaria, ottenuta probabilmente dalla trasformazione di un’antica torre della cinta muraria del borgo.

La chiesa di Ognissanti, fondata nel 1371, è frutto di varie modifiche e si presenta, dopo i recenti restauri, come un’aula rettangolare senza presbiterio distinto e con sacrestia dietro l’altare.

La forme attuali della chiesa di San Lorenzo, di fondazione duecentesca, risalgono in buona parte a lavori di restauro compiuti tra il 1890 e il 1908. L’interno, a navata unica, ospita un tabernacolo e un altare del portogruarese Giovanni Battista Bettini del XVIII secolo e una pala seicentesca della Trinità di Tiziano Vecellio detto il “Tizianello”, discendente dell’omonimo pittore cadorino.

La chiesa di San Giovanni, di antica origine e ampliata agli inizi del Novecento, conserva un dipinto cinquecentesco raffigurante la Trinità, una tela settecentesca di Egidio Dall’Oglio, due tele del pittore friulano don Sebastiano Valvasori dei primi anni dell’Ottocento, e due altari di Antonio Nardi realizzati a cavallo tra Sette e Ottocento.

Sulla sommità del colle, c’è la pieve dedicata a San Floriano, martirizzato nel 304, nominata nel placito dell’imperatore longobardo Liutprando del 743C. La struttura attuale della chiesetta di San Floriano, che riutilizza materiale anche romano, è costituita da un pronao a pianta quadrata e da un’aula rettangolare completata, a oriente, da un’abside semicircolare. Notevole la decorazione pittorica, purtroppo frammentata, che decora le pareti dell’aula e dell’abside. Gli affreschi a più mani (fine XIV – inizio XV secolo) sono forse da attribuire alla scuola di Vitale da Bologna oppure di Tommaso da Modena.

Infine, non può mancare la visita al sito palafitticolo di Palù di Livenza, inserito nel patrimonio Unesco dal 2011.

Piaceri e Sapori

Cicloturismo, passeggiate sui sentieri, navigazione con barchini elettrici lungo il Livenza, visite al sito archeologico di Palù di Livenza, alla sorgente del torrente Gorgazzo e al Parco di San Floriano.

Questo territorio ricco di sorgenti e corsi d’acqua, è da scoprire poco a poco e con ritmi lenti. Molte le cose da vedere, a cominciare dal Parco rurale di San Floriano, in località San Giovanni, che si estende su una superficie di 40 ettari ed è l’unico esempio di parco naturale e rurale in Italia. Si distingue per la varietà di flora e fauna, i prati a pascolo permanente, le marcite, l’allevamento di animali. Solo due mulini dei dodici di una volta sono sopravvissuti e possono essere visitati. La sorgente del Gorgazzo, affluente del Livenza, è un incantevole specchio d’acqua dall’intenso colore azzurro. E’alimentata dalle acque che, inabissatesi nelle fenditure dell’altopiano del Cansiglio o del Monte Cavallo, riappaiono in superficie. Le sorgenti del Livenza si trovano presso il santuario della Santissima: pur affiorando a poche decine di metri sul livello del mare, danno subito origine a un corso d’acqua di notevole portata.La frazione di Mezzomonte è un paesetto di case in sasso che si appoggia, a quota 477 s.l.m., su una balza naturale della montagna.Infine, nella zona umida tra i comuni di Caneva e Polcenigo, a valle del Livenza, si trova il sito palafitticolo del Palù di Livenza risalente al Paleolitico (4900 a.C. ca.).

Museo dell’Arte Cucinaria in Alto Livenza, Vicolo del Teatro, tel. 0434 670062 – 0434 74016: esposizione permanente di documenti e manufatti sull’arte della cucina, con attrezzi, antichi ricettari, menù di grandi banchetti appartenuti ai cuochi dell’Alto Livenza divenuti protagonisti della ristorazione italiana e internazionale. Il museo fa parte dell’Ecomuseo Regionale delle Dolomiti Friulane Lis Aganis.

Fortajada, aprile: durante la festa di San Giovanni è tradizione mangiare la frittata.

Festa dei Ciclamini, agosto: rievocazione di antichi mestieri, pranzo in casera, osservazione del cielo al telescopio, stand enogastronomici con cucina locale, in nome del più bel fiore della montagna.

Sagra dei Thést, primo fine settimana di settembre: mostra dei prodotti tipici e dell’artigianato, con spettacoli teatrali, concerti, apertura di giardini e cortili di palazzi storici, buon cibo (protagonista il formaggio di malga) e, soprattutto, l’esposizione di cesti (thést in dialetto) in vimini o in giunco prodotti dai cestai riprendendo una tradizione locale.

Sagra della Castagna, fine settimana di ottobre: mercatini dell’artigianato, piatti della tradizione e prodotti a base di castagna sono i protagonisti dell’evento che si svolge a Mezzomonte.

Rassegna di Presepi, dicembre-gennaio: al calar della sera, si accendono le luci e la musica accompagna il percorso di visita dei presepi, collocati sui davanzali delle finestre, nei giardini, nelle corti, lungo le strade del borgo; alcuni hanno decorazioni fatte da intrecci di midollino, come vuole la tradizione dei cestai del territorio.

La specialità è la trota dell’Alto Livenza, pesce che trova nelle acque pure e azzurre del Livenza il suo habitat naturale.

E’ senza dubbio il cesto in vimini. La lavorazione del vimini, con cui si intrecciavano cesti e cestoni da vendere ai contadini in occasione della vendemmia, era un’attività tipica degli abitanti del borgo. Il prodotto principale era il zhestón, che aveva un impiego soprattutto domestico, ad esempio per il trasporto del bucato.

Ristorazione

Osteria Da Pascon

Il meglio della cucina regionale, preparato con ingredienti freschi e di stagione. Specialità, gnocchi, ofelle e selvaggina. Disponibile anche menù per vegani.

  Via Chiesa, 17-19 S.Giovanni
  +39 0434 74226
 www.osteriadapascon.it