Oratino
Il solitario del Sannio

Comune di Oratino
(Provincia di Campobasso)
Altitudine
m. 790 s.l.m.
Abitanti
1450 (198 nel borgo)

Patrono
San Bonifacio, 14 maggio
info turismo
Municipio, piazza R. Rogati 3 – tel. 0874 38132
oratino@tin.it – www.comune.oratino.cb.it

Lo spirito del luogo

Il nome

Nel XII secolo il borgo si chiamava Loretinum, nel XV Ratino, quindi Loratino e Oratino. Da dove derivi il nome, non si sa. Secondo il parroco del paese d’inizio Novecento, dalla radice greca Or sarebbe derivato il latino Oratenus, che starebbe per “visibile dappertutto”, quindi “luogo panoramico”.

 

La storia

1251, il primo documento che rileva l’esistenza del borgo – di probabile origine normanna – è l’inventario dei beni presenti nelle chiese molisane, tra cui quella di Santa Maria castri Lorateni.
1268, il borgo è feudo angioino, in possesso di Eustachio d’Ardicourt; tra i feudatari che si succedono, si ricordano Giovanni di Lando durante il regno di Carlo II d’Angiò, e Pietro di Sus.
1333, re Roberto assegna Oratino alla propria consorte, la regina Sancia.
1456, il borgo è distrutto dal terremoto del 5 dicembre; l’antico abitato a valle viene abbandonato e la popolazione si insedia nell’attuale centro abitato.
1512, dopo il cataclisma politico seguito alla calata di Carlo VIII, il feudo passa da Ferrante di Capua alla famiglia Caracciolo.
1586, Oratino appartiene ai Di Silva, famiglia patrizia di origine spagnola; nel 1630 passa a Ottavio Vitaliano, alla cui dinastia rimane fino al 1699, quando il titolo di duca è ceduto a Marco Antonio della famiglia Giordano.
1762, diventa duca di Oratino Giuseppe Giordano, letterato illuminista.
1805, un grave terremoto colpisce il paese, causando il crollo di una parte del palazzo ducale.
1901, Oratino raggiunge il massimo della popolazione con 2344 abitanti (erano quasi 2000 nel 1825 e 1224 nel 1741).

Isolato su una rupe, nel cuore della valle del Biferno, Oratino è borgo di transumanza, sulle rotte degli antichi tratturi. È un meridione insieme aspro e dolce, questo, che delle sue contraddizioni fa virtù.
Gli abitanti, ad esempio, denigrati nelle beghe tra paesi vicini come “voltafaccia”, hanno fatto dell’improvvisa inversione di direzione la loro bandiera. Sulla croce monumentale in cima al campanile, in uno dei quattro pannelli scultorei, hanno posto l’allegoria del voltafaccia: è il putto che gira le spalle all’osservatore e tiene in mano la banderuola. Il Giano bifronte che sta lassù ne manovra con il vento la direzione: è sempre possibile cambiare – sembra dire. E gli anni vissuti a muso duro, nelle fatiche dell’agricoltura e dell’allevamento, oggi si stemperano nella riacquistata intimità del borgo, con le sue trattorie dove trionfano le paste e i legumi, i fuochi rituali del solstizio d’inverno, le sculture in pietra e i legni dorati delle chiese che svelano la trascorsa grandezza.
La vista sul massiccio del Matese, dalle casette di pietra bianca, conforta e rasserena.

Tra Sei e Ottocento, grazie soprattutto al mecenatismo dei duchi Giordano, il piccolo villaggio di Oratino ha potuto vedere stampata sulle sue facciate la grazia infusa ai materiali dagli artigiani locali. I portali, i balconi, le balaustre delle dimore gentilizie, così come gli interni delle chiese, sono opera di fabbri, scalpellini, doratori, vetrai e pittori che nelle loro botteghe hanno creato un’arte coesa e nient’affatto plebea. Nel 1781 uno storico scrive di Oratino che “vi si coltivano molte arti di gusto”.
In effetti, non ci sono altri centri del Molise che possano vantare una tale concentrazione di artisti e artigiani. Molti di loro, formatisi in ambiente napoletano, hanno lasciato tracce sino alla Capitanata, al Sannio beneventano e all’Abruzzo.
Iniziamo dunque la nostra visita dalla chiesa di Santa Maria Assunta, nel centro storico. Dell’edificio si ha notizia già nel 1251. Più volte rimaneggiata, soprattutto dopo il terremoto del 1456, conserva nella volta della navata centrale l’Assunzione della Vergine, un affresco di Ciriaco Brunetti terminato nel 1791. Piace, dell’artista di Oratino, la vena rocaille che affiora in particolare negli studi preparatori per decorazioni di volte, soffitti e trompe-l’oeil. Nella stessa chiesa si apprezza un ostensorio d’argento realizzato nel 1838 nella bottega di oreficeria di Isaia Salati, nipote di Ciriaco Brunetti.
Per vedere, invece, l’arte applicata all’intaglio del legno, bisogna uscire dal borgo e recarsi extra moenia alla chiesa di Santa Maria di Loreto. Qui troviamo due interessanti statue, la Madonna del Rosario dello scultore secentesco Carmine Latessa, e quella di Sant’Antonio Abate di Nicola Giovannitti, datata 1727. Tipica chiesetta di campagna, si presenta con la facciata del 1718; è stata ampliata in lunghezza, nella prima metà dell’Ottocento, per tutto l’attuale presbiterio. La volta della navata centrale e le due laterali sono state dipinte dai fratelli Ciriaco e Stanislao Brunetti.
Torniamo ora nel borgo per continuare il nostro giro. Uno sguardo merita il palazzo Ducale, nato come castello fortificato nel XIV secolo, trasformato in residenza gentilizia nel XVIII, e oggi purtroppo di proprietà privata. Magnifici portali in pietra, come quelli di palazzo Ducale e di Casa Giuliani, ci inducono a ricordare gli artisti oratinesi che non abbiamo ancora citato: lo scalpellino Domenico Grandillo, lo scultore Silverio Giovannitti, gli indoratori Giuseppe Petti, Agostino Brunetti, Modesto Pallante, i pittori Benedetto Brunetti, espressione della cultura tardo manierista,
e Nicolò Falocco, con i suoi disegni a sanguigna fitti di chiaroscuri,
indicato come discepolo del Solimena, il massimo esponente della pittura napoletana d’inizio Settecento.
Passeggiando per via Piedicastello, o lungo piazza Giordano in una sera d’estate, o ancora affacciandosi al belvedere per ammirare la morbida e asprigna (siamo nel borgo “bifronte”!) vallata del Biferno, si riesce a cogliere qualcosa di misterioso in questo luogo. Come se l’ottima pietra locale lavorata, incisa e perduta nelle traversie dei secoli, il cui emblema è la torre medievale che si erge spezzata e solitaria su dirupi da brivido, ripetesse l’eterno andare delle transumanze. L’alto roccione difeso da mura sannitiche ancora sorveglia gli antichi percorsi delle greggi, le vie d’erba che scendevano dall’Appennino seguendo la naturale conformazione dei luoghi.
Spariti i tratturi e la trama di relazioni sociali che il lento incedere delle mandrie consentiva, ci restano i sapori del pane, dell’olio, dei formaggi e gli ultimi fuochi della civiltà pastorale e contadina, accesi la notte di Natale quando il giorno è più corto, ma la speranza cresce.

Piaceri e Sapori

L’arrivo ad Oratino può essere l’occasione per conoscere il Molise interno, una regione un po’ dimenticata. Dal borgo si può risalire il Biferno e portarsi nella provincia di Isernia per vedere il centro storico di Agnone, dove sono presenti molte opere di artisti oratinesi. Restando invece in provincia di Campobasso, si possono raggiungere Bojano, dove il vecchio villaggio di Civita Superiore vale sicuramente una visita, Ferrazzano col suo nucleo medievale e la sannitica Sepino con il suo complesso archeologico. Chi ha apprezzato Oratino, può mettersi sulle tracce lasciate dai suoi artisti negli altri paesi del Molise. Così, a Castropignano ammirerà la Crocifissione di Periteo Petti nella chiesa del Salvatore, a Civitanova del Sannio la statua lignea dell’Immacolata di Silverio Giovannitti nella chiesa di San Silvestro, a Venafro nel monastero di Santa Chiara la pala d’altare di Benedetto Brunetti, autore anche del polittico della chiesa dell’Immacolata a Riccia, mentre a Toro la pala d’altare della chiesa del Convento è opera di Ciriaco Brunetti. E così via, in un percorso affascinante tra arte,natura e gastronomia.

Le Lessate,
17 gennaio. Il giorno di Sant’Antonio Abate viene acceso davanti al sagrato della chiesa i Santa Maria di Loreto un fuoco propiziatorio accompagnandolo con la distribuzione delle lessate, a base di cicerchia, mais e grano.

Premio nazionale di poesia Arturo Giovannitti,
1 maggio. Per informazioni: assgiovannitti@alice.it

Agosto in Oratino,
manifestazioni e spettacoli estivi

La Faglia,
24 dicembre. Dal latino fax/facis che significa torcia, fiaccola, prende nome questo rituale arcaico: un centinaio di persone trasporta a spalla un enorme cero fatto di canne (lungo circa 12-13 metri per un metro o due di diametro) fin sul sagrato della chiesa. Qui gli oratinesi lo alzano e lo accendono. È la notte di Natale. La faglia brucia in un’imponente vampata davanti al campanile, con le cui dimensioni sembra gareggiare. Si tratta di un fuoco cerimoniale come ce n’erano tanti nell’antichità, in coincidenza con i solstizi, cioè con il ritorno delle stagioni. Quello che era un rituale pagano della fecondità, si è trasformato nel tempo, col cristianesimo, in un momento di socializzazione collocato alla fine del ciclo del raccolto, quando i contadini hanno ormai finito i lavori della campagna. E così la luce della grande torcia è diventata quella che accompagna Gesù Bambino nella sua venuta in terra. L’evento è imperdibile anche per la scansione del rituale, che comincia con la raccolta delle canne e finisce con il capofaglia che, in piedi sulla faglia, la guida nella sua ascensione in cima al paese.

La Valle del Biferno è zona di grande tradizione gastronomica. Tra i primi, ricordiamo la minestra di laganelle (piccole lasagne fatte a mano) e fagioli. Tra i secondi, menzione speciale per il tipico cacio e ova con salsiccia, ossia un composto di formaggio di capra e uova cotto nel sugo di salsiaccia.

I legumi. Ceci e cicerchie sono gli ingredienti, con il grano, delle lessate, il piatto che viene cucinato sul sagrato della chiesa il 17 gennaio, mentre arde il falò acceso in onore di Sant’Antonio Abate.