Pacentro
Ritorno al Medioevo
Comune di Pacentro
(Provincia de L’Aquila)
Altitudine
m. 700 s.l.m.
Abitanti
1500
Patrono
San Crescenzo, quarta domenica di settembre
info turismo
Comune: via S. M. Maggiore – tel. 0864 41114
Centro Informazioni Parco Naturale della Maiella: via Roma | tel. 338 3112184 | www.comune.pacentro.aq.it
Il nome
Pacinus, Pacinos, Pacine, Pacino: sono molte le congetture circa l’origine del toponimo. Probabilmente è legato al nome di qualche antico borgo, forse d’origine latina, come farebbe supporre il ritrovamento in zona di fabbriche, lapidi e sepolcri. La leggenda narra che Pacinus, eroe troiano, lasciato Enea sulle rive del Tevere, s’inoltrò per il Sannio e arrivato ai piedi del Monte Morrone vi fondò Pacentro.
La storia
VIII sec., la prima menzione di Pacentro si ha con la donazione al monastero di S. Vincenzo al Volturno della chiesa di Sancti Leopardo in Pacentru da parte dei duchi di Spoleto Lupo e Ildebrando.
X-XI sec., è eretto il castello a difesa della popolazione della Valle Peligna, minacciata dalle scorrerie di Saraceni e Normanni. Intorno ad esso sorgono le prime case e chiese, e si sviluppa l’economia del borgo.
1170 ca., il Catalogo dei Baroni del Regno di Napoli informa che il castello di Pacentro è abitato da 48 famiglie.
1270 ca.-1464, periodo caldoresco. Con il riaccendersi della contesa tra Aragonesi e Angioini per la successione al Regno di Napoli, Pacentro diviene uno dei perni della lotta angioina contro gli Aragonesi sostenuti da Sulmona. Sotto Giacomo Caldora Pacentro trova il modo di svilupparsi e conosce anche un periodo di relativo benessere. La sconfitta degli Angioini nel 1464 travolge Antonio Caldora che perde tutte le sue terre.
1483-1612, il feudo è possesso del ramo di Napoli della famiglia Orsini. Con l’avvento della dinastia aragonese, i nuovi feudatari apportano modifiche sostanziali al castello.
1613-1624, Pacentro appartiene al capitano Antonio Domenico De Sanctis.
1626-1648, smembrato dai creditori, il feudo perviene ai Colonna, principi di Zagarolo. 1664, la Regia Corte di Napoli vende il castello a Maffeo Barberini, al quale subentrano poi i marchesi Recupito di Raiano, che lo tengono sino all’abolizione del feudalesimo. XX sec., dopo essere stato interessato, nei decenni successivi all’Unità d’Italia, dal fenomeno del brigantaggio, il borgo è colpito nel corso del Novecento da due ondate di emigrazione, agli inizi del secolo e poi tra gli anni ’40 e ’60, che causano il suo spopolamento.
La meraviglia di questo borgo è subito evidente. La visione panoramica del vecchio paese dalla località Muscarella, o la visione aerea dalla “curva di Agnese”, da dove sembra snodarsi come un serpente di pietra che s’inoltra nel bosco, introducono in un’altra dimensione. È come oltrepassare una porta da tempo abbattuta. Chiudere gli occhi e aprirli su una selva di torri, anche se diroccate o mozzate. “Alchimisti, crogiolate i veleni, / recitate la formula oscura, / scrivete i segni dell’alfabeto segreto, /e che vi diano ascolto i diavoli!” (J. Seifert). Il nostro lungo sprofondarsi nei sogni si aggrappa ai segni scolpiti nella pietra, intagliati nel legno, battuti nel ferro e disseminati lungo l’intreccio misterioso di vicoli, archi, irte scalette, passaggi sovrapposti, camminamenti, porticati che collegano fra loro le piccole case, ancora raccolte nella medievale attesa di qualcuno che salga dal piano a portare un messaggio di felicità o di sventura.
I monti stringono Pacentro tanto da ridurre il suo orizzonte, ma in compenso la riparano dalla furia dei venti. I boschi ossigenano l’aria e le acque sgorgano fresche dalle numerose sorgenti della Maiella.
A ponente il cielo su Pacentro si allarga e la vista spazia per la Valle Peligna. Al sommo della collina si erge il castello dei Caldora, che nella sua struttura originaria risale al X secolo. Faceva parte – insieme ai castelli di Pettorano, Introdacqua, Anversa, Bugnara, Popoli e Roccacasale – del sistema difensivo della Valle Peligna. Inizialmente aveva una pianta triangolare con una sola torre a nord per difendersi dagli attacchi nemici. L’innalzamento della torre di nord-est, la più antica e alta 24 m, si deve ai feudatari Gualtieri e Pietrone di Collepietro nel XIII sec. Quando poi, nel XV sec., passò ai Caldora, il castello fu ingrandito con l’aggiunta delle altre due torri e dell’ala residenziale. Dopo i Caldora lo tennero gli Orsini, che fecero costruire le torri cilindriche a protezione di quelle quadrangolari. Le due torri più alte hanno un’elegante merlatura con coronamento di beccatelli scolpiti con figure antropomorfe, mentre i torrioni circolari presentano feritoie per archibugi e bombarde. Una camminata per il borgo permette di scoprire altri luoghi interessanti. I Canaje è l’antico lavatoio pubblico, costruito con lastroni di pietra. Le donne vi convenivano da ogni punto del paese, trasportando sulla testa le caratteristiche uaccile (i catini di rame). La Preta tonna, o pietra dello scandalo, è una grossa pietra incavata utilizzata come antica unità di misura del grano, sulla quale i debitori insolventi erano obbligati a sedere nudi davanti ai passanti, come forma di pubblica umiliazione.
Tra le chiese, merita una visita la cinquecentesca chiesa Madre. La sua imponente facciata, ornata da un cornicione lavorato, è arricchita da una graziosa meridiana. La porta d’ingresso originaria è custodita all’interno ed è opera pregevole di un artista locale, interamente intagliata nel legno. La volta della chiesa è tutta coperta di stucchi. All’esterno, il bel campanile è secondo per altezza, nella valle, solo a quello dell’Annunziata di Sulmona. Di fronte alla chiesa si trova una monumentale fontana.
Nei dintorni fanno bella mostra di sé diversi palazzi signorili dagli splendidi portali, come il seicentesco palazzo Tonno (notare anche i particolari delle finestre) e, più avanti, palazzo La Rocca (che ospita il municipio), palazzo Avolio e palazzo Massa in piazza Umberto I, palazzo Granata (anch’esso con portale monumentale), palazzo Simone ed altri ancora da scoprire passeggiando. Tornando alle chiese, quella di San Marcello, fondata nel 1047, è la più antica del borgo. Contiene interessanti affreschi e presenta un portale di legno intagliato da artigiani locali su cui ancora si legge la data 1697. Appartiene alle chiese extra-moenia quella della Madonna delle Grazie, eretta verso la fine del Cinquecento. È una tipica chiesa rurale con navata unica e pianta rettangolare. Fuori delle mura è anche quella della Santissima Concezione, in stile barocco, che si estende per l’intera lunghezza su un lato del convento dei Minori Osservanti, fondato nel 1589. Sopra l’altare maggiore della chiesa campeggia un maestoso dipinto dedicato all’Immacolata, opera del pittore fiammingo Spranger. Da notare i particolari: nella parte inferiore c’è un francescano con un libro in mano, è il filosofo francescano Duns Scoto; nella parte superiore c’è l’autoritratto dell’autore che guarda l’immagine femminile che si trova nel lato opposto e che forse raffigura la sua amata.
Ritornando a girovagare nel centro storico, è tutto un susseguirsi di sorprese e scorci affascinanti, come quelli di via del Castello, di via di Sotto, di Porta della Rapa. Di notte, il borgo assume una dimensione magica, le fiammelle fatue delle luci illuminano contorni di esistenze passate, svanite, e l’urlo degli spettri è represso nella gola – intorno c’è solo silenzio, mistero. Non si può, infine, lasciare Pacentro senza aver visto le pitture rupestri. Nella grotta di Colle Nusca, poco distante dal paese, mani cavernicole hanno tracciato con ocra rossa dei graffiti raffiguranti otto uomini armati di frecce e archi. Scene di caccia di parecchie migliaia d’anni fa.
Escursioni montane nel Parco Nazionale della Maiella, trekking e passeggiate.
Pacentro è la porta naturale e al tempo stesso il cuore del Parco Nazionale della Maiella. Il paese si trova a 700 m d’altitudine ma l’altimetria del suo territorio va dai 430 ai quasi 2800 m di Monte Amaro, la vetta della Maiella.
È dunque un borgo prettamente montano, dal quale è facile salire in quota per assicurarsi le più belle vedute panoramiche ed ammirare una flora di grande valore naturalistico. Escursioni e passeggiate portano sempre in luoghi stupendi, come la cascata del Vallone o il passo San Leonardo. Diverse sorgenti, limpide e fresche, solcano i sottoboschi dove volpi, scoiattoli, donnole, uccelli rapaci e anche qualche lupo, appaiono per un attimo e subito scompaiono.
Nei boschi regna sovrano il faggio, cui fanno da corona querce secolari, pinete, macchie di lecci, aceri e carpini.
Processione
del Venerdì Santo: i riti pasquali sono molto sentiti e suggestivaè la processione.
Festa di San Marco Evangelista,
25 aprile: la festa è accompagnata da una piccola fiera dell’agricoltura.
Sagra della Polta,
prima decade d’agosto: in un paese dalla grande tradizione gastronomica non poteva mancare la festa culinaria. La polta è un gustoso piatto contadino a base di verdure bollite e poi ripassate in padella con aglio e peperoncino.
L’Arrolamento della Gente d’Arme
di Antonio Caldora, 16-17 agosto: rievocazione storica in costume dell’arruolamento e dell’investitura dei cavalieri da parte del signore di Pacentro nell’Anno Domini 1450. Il corteo parte dal castello e si snoda attraverso i suggestivi vicoli del borgo antico.
Festa della Madonna di Loreto e Corsa degli Zingari,
prima domenica di settembre: il sacro e il profano si mescolano in questa gara che vede un gruppo di giovani correre a piedi nudi dal masso tricolore sul colle Ardinghi, di fronte al borgo, fino al fiume Vella, e risalire poi, per un antico viottolo di campagna, sino alla chiesa della Madonna di Loreto. Il vincitore è premiato con un taglio di stoffa, una sorta di palio dei tempi poveri, dal quale si ricavava un abito. C’è chi vede in questa tradizione addirittura il ricordo dei giochi giovanili dei romani, o la selezione dei guerrieri da parte di Giacomo Caldora.
Festa della Madonna
del Santo Rosario, 7 ottobre.
Festa di San Carlo Borromeo,
4 novembre. È la festa delle mongolfiere di carta dipinte organizzata dalle Confraternite.
La gastronomia ha carattere di sobrietà e rispecchia le tradizioni di una vita semplice, che per l’alimentazione si basa esclusivamente sui prodotti locali. Le ottime carni sono fornite dal bestiame allevato nei pascoli montani, ricchi d’erbe aromatiche che trasferiscono poi ai prodotti caseari sapori unici. Gli uliveti e i vigneti trovano nei dolci pendii collinari l’habitat ideale per una produzione di qualità. Da questa naturale armonia di colori, odori, sapori, è nata la voglia di riscoprire antiche ricette: come i maccheroni alla chitarra con sugo e polpettine di castrato spolverati da un profumato pecorino, la pecora bollita all’u cuttur, i ravioli alla ricotta, gli gnocchi con sugo di pecora ed infine la polta che è diventata il simbolo della sagra culinaria. Anche questo è un piatto contadino fatto con ingredienti semplici: aglio e peperoncino soffritti in olio extra vergine d’oliva con aggiunta di cavoli, patate e fagioli bolliti.
A Pacentro l’artigianato artistico vanta una tradizione secolare e consiste nella lavorazione della pietra bianca della Maiella, delle statuine in terracotta per il presepe, dei filet all’uncinetto e dei costumi femminili abruzzesi. In particolare, la lavorazione della terracotta – che ha avuto il suo maestro in Peppino Avolio (1883-1962), autore di mammuccje per il presepe che fissavano nell’argilla le fogge, gli ornamenti e i colori di un folclore tra i più interessanti d’Italia – sta riprendendo dopo un periodo di decadenza, grazie a validi artigiani. L’antica arte dello scalpellino in Abruzzo ha prodotto nei secoli i capolavori che si possono ammirare nelle decorazioni di case, chiese e palazzi nei centri storici.