Viggianello
Dove fioriscono le ginestre

Comune di viggianello
(Provincia di Potenza)
Altitudine
m. 549 s.l.m.
Abitanti
3100 (450 nel borgo)

Patrono
San Francesco di Paola, 2 aprile
info turismo
Comune, Segreteria – tel. 0973 664373, orario 8-14
www.comune.viggianello.pz.it
www.viggianellovacanze.it

Lo spirito del luogo

Il nome

Castrum Byanelli – dal possessivo gentilizio romano Vibianus, diminutivo di Vibius – era un avamposto romano nelle terre dei lucani. Il toponimo Byanelli compare nel registro della cancelleria angioina (1278-79), ma documenti del periodo aragonese (fine XV secolo) riportano già il nome di Viggianello.

 

La storia

II sec. a.C., sulla via Popilia che collegava Reggio Calabria a Capua è attestato un Castrum Byanelli, roccaforte romana nelle guerre contro i lucani, probabilmente sorta sul luogo di un antichissimo villaggio di origine greco-achea.
IX sec. d.C., penetrazione dei saraceni, testimoniata dall’insediamento nel quartiere Ravita («borgo» in arabo).
X sec., cappelle ipogee e lauree eremitiche rilevano una presenza di monaci basiliani dell’Eparchia monastica del Mercurion, corrispondente al territorio del massiccio del Pollino a cavallo tra Calabria e Lucania; i bizantini fortificano il luogo con un kàstrion, successivamente ingrandito dai normanni (XI sec.) e dagli svevi.
1079, il toponimo Vineanellum compare per la prima volta nella “Bolla di Alfano”, arcivescovo di Salerno, come parte della diocesi di Policastro nel salernitano; secondo alcuni starebbe a indicare la mancanza di vigne in quel territorio agricolo.
1278, il registro della cancelleria angioina riporta il toponimo Byanelli; alla dominazione angioina succede quella aragonese, sotto la quale, in documenti del 1483 e del 1494, il luogo è già chiamato Viggianello.
XV sec., il paese diventa feudo della nobile famiglia dei Sanseverino, di discendenza normanna, una delle più illustri casate storiche del Regno di Napoli; nel 1496 la fortezza cade nelle mani del Gran Capitano Consalvo de Cordoba che riannette Viggianello ai possedimenti della monarchia di Spagna; strappato agli aragonesi e tornato ai Sanseverino, alla fine del XVI sec. il feudo passa ai Della Ratta, famiglia originaria di Barcellona, e quindi alla famiglia Bozzuto, la più avida e odiata del casato aragonese.
1799, con il breve governo della Repubblica Partenopea, Viggianello fa parte del cantone di Lauria nel dipartimento del Crati; nel 1808 diventa Comune e, tramontata la dinastia borbonica, partecipa alle varie fasi dell’unità d’Italia, divenendo terreno di scontro tra esercito piemontese e briganti.

In prima fila nella lotta contro la centrale a biomasse, uno sfregio per il territorio della valle del Mercure, Viggianello è uno di quei posti dove gli orizzonti sono così ampi, che si sente l’alito dei boschi e il respiro degli animali. Il cervo, il lupo e il grifone sono i padroni incontrastati del Parco del Pollino, polmone verde che esige tutela assoluta. I paesi del crinale calabro-lucano chiedono di non essere abbandonati alla loro storia, che è immensa e, per quanto riguarda Viggianello, compresa tra le lontanissime radici magno greche e i racconti di briganti dopo l’Unità d’Italia, passando per gli eremiti bizantini, gli arabi, i normanni, la potente casata dei Sanseverino – che regalò al borgo chiese e palazzi – fino alle prepotenze delle famiglie aragonesi dominanti. Arroccato lungo il pendio del monte, tra il fiorire delle ginestre e lo scorrere dell’acqua, il paese è costituito da diversi nuclei abitati, tra cui spicca quello di origine araba.

Viggianello è un borgo dalla forte impronta bizantina e normanna. Bizantini erano i monaci che disseminarono il territorio di laure (gruppi di celle monastiche con chiesa in comune), ancora visibili ai piedi del centro storico, e bizantino era il kàstrion fortificato. Normanna è l’origine dell’insediamento attuale in collina, che ingloba l’antico abitato arabo corrispondente al quartiere Ravita (IX secolo). Cacciati i saraceni, i normanni consolidarono il loro potere ripristinando la cortina muraria, di cui non c’è più traccia, e costruendo la torre a base quadrata nel punto più alto del borgo, là dove sorgevano il castrum romano – a sentinella della valle sottostante e di antichissimi percorsi già utilizzati dai coloni greci – e il kàstrion bizantino. Furono poi gli svevi ad ingrandire e abbellire il castello nello stile architettonico tipico del periodo di Federico II, l’imperatore che vi soggiornò due volte, nel 1224 e nel 1227. In seguito, ai feudatari angioini succedettero gli aragonesi, con il generale spagnolo e viceré di Napoli Gonzalo Fernández de Córdoba che espugnò il castello sul finire del Quattrocento. Nel secolo successivo i principi Sanseverino trasformarono la fortezza militare in residenza nobiliare.
Degni di nota sono gli edifici di culto, a partire dalla quattrocentesca cappella di San Sebastiano, di origine bizantina come diverse altre cappelle sparse nella campagna, e come la chiesa madre, ricca di opere d’arte, dedicata a Santa Caterina d’Alessandria. La chiesa, ricostruita dai baroni Bozzuto nel 1634, conserva tele dei secoli XVII e XVIII, un fonte battesimale in alabastro del Cinquecento, un altare in marmo settecentesco attribuito allo scultore Gregorio Palmieri, acquasantiere in marmo bianco dell’Ottocento, un organo a canne del 1880, un coro ligneo del Seicento, una Madonna in pietra del Cinquecento, la rinascimentale statua lignea della patrona e una cripta dove, con macabro gusto barocco, le mummie di tre preti ricoperte di paramenti dorati stanno sedute su una panca.
Tracce di Bisanzio si trovano ancora nella cupola basiliana della cappella della Santissima Trinità, con affreschi riaffioranti, e nella chiesa di San Francesco di Paola, l’unica che conservi l’esposizione est-ovest tipica degli edifici di culto bizantini.
La scultura più bella è la Madonna con Bambino in marmo bianco di Pietro Bernini, il padre di Gian Lorenzo, custodita nel convento di Sant’Antonio a “Pantana” del XVI-XVII secolo. Sul basamento della statua è incisa la frase Virgine deipara patrona V.lli, “Vergine madre di Dio patrona di Viggianello”. Pietro Bernini ha operato anche nel vicino borgo di Morano Calabro, dove ha lasciato due coppie di statue nella chiesa degli Apostoli Pietro e Paolo.
Infine, nella chiesa di Santa Maria della Grotta sono da vedere il portale in pietra bianca del Cinquecento e la chiesa dell’Assunta fatta costruire dai principi Sanseverino nel Quattrocento, purtroppo privata dell’originale pavimento in cotto. Nel territorio, come dicevamo, sono sparsi i ruderi di monasteri basiliani distrutti dall’esercito napoleonico; un’altra chiesetta bizantina, dedicata a San Nicola, si trovava nel luogo in cui i normanni eressero il castello.
Tra gli edifici di architettura civile, nel centro storico caratterizzato da vicoli e piazzette, vi sono il vasto complesso architettonico di palazzo De Filpo, il barocco palazzo Marino con i suoi numerosi saloni, il settecentesco palazzo Caporale. Non mancano i portali in pietra lavorata, alcuni settecenteschi, e le fontane, retaggio dell’economia agricola e pastorale: le più belle sono dell’Ottocento, sparse nei rioni San Francesco e Marcaldo, in contrada Prastio e sulla vecchia strada che porta a Pedali. Infine, in piazza Umberto I si gode di una magnifica veduta sulla valle del Mercure-Lao.

Piaceri e Sapori

Acqua-trekking nei torrenti del Parco, passeggiate ai pini loricati, equitazione, pesca, canoa, rafting, arrampicata sportiva, ciaspolate nei boschi innevati del Parco del Pollino.

La sorgente del fiume Mercure, luogo idilliaco a valle del borgo, la riserva faunistica del cervo e l’orto botanico sono i luoghi da visitare prima di esplorare il Parco Nazionale del Pollino, di cui Viggianello è il cuore. I pini loricati a monte del paese, i pianori verdi o imbiancati da esplorare con le ciaspole, a seconda delle stagioni, con le loro sfumature di colore, sono solo l’introduzione a una natura che si svela poco a poco, celata nella sua asprezza, , ma pronta ad accogliere il visitatore, confortato dall’atmosfera che si respira nei borghi, vecchi quaderni ingialliti desiderosi di mostrare pagine nuove.

Sagra dei Falò,
19 marzo e 2 aprile: vengono bruciate fascine di legna nelle piazze del centro storico e delle frazioni, in segno di augurio per una primavera feconda.

Festa di San Francesco di Paola:
la settimana dopo Pasqua e l’ultima domenica di agosto, il patrono è festeggiato con l’arrivo della pitu, una festa rituale dell’albero documentata dal Seicento ma di evidente origine pagana. Si tratta di un rito propiziatorio con bivacchi di alcuni giorni nei boschi del Pollino, dove gli uomini vanno alla ricerca degli abeti (pitu) o dei cerri da tagliare, defogliare, squadrare, trasportare su un carro trainato da una coppia di buoi e infine innalzare nel centro del borgo, tra processioni con la statua del santo, canti, balli, tarantelle, musiche della banda del paese. Riti arborei si svolgono anche nelle contrade Zarafa, la seconda domenica di settembre, e di Pedali, la settimana dopo Pasqua.

Festa della Madonna del Soccorso,
seconda domenica di settembre, nella contrada Zarafa.

Festa della Madonna del Carmelo,
terza domenica di agosto: è legata al raccolto del grano e alla fertilità dei campi, la festa in cui alla Madonna i fedeli offrono i cirii, covoni di legno ricoperti di grano e decorati con nastri colorati che ricordano il corredo dei tarantolati di Galatina; durante il percorso dei cirii, cui si appendono galline o conigli, si balla con la falce, danza rituale che risale al culto pagano di Giunone.

Pellegrinaggio alla Madonna dell’Alto,
ultima domenica di maggio e prima domenica di settembre: dalla chiesa di San Francesco a quella della Madonna dell’Alto su monti del Pollino: è questo il percorso di 15 km della devozione popolare, con la Madonna che sale a maggio ed è riportata nel borgo a settembre.

Pollino Estate,
luglio-agosto: rassegna estiva con Merkurion Music Festival, RidiPollino, Radici Festival, Viggianello Music Festival, Uomini e Cime, Festival di Letteratura.

Sagra delle Castagne e dei Funghi,
novembre, fine settimana di Ognissanti.

Fiera di Santa Caterina,
25 novembre: alla patrona del paese è dedicata una fiera che ha origini forse nel monachesimo basiliano del IX secolo.

Quelli di Viggianello sono piatti poveri con i sapori di una terra che ha sempre vissuto di agricoltura e allevamento: la rappasciona” è un misto di cereali e fagioli; la minestra mbastata è “impastata” con patate e verdure di stagione; i fusilli sono chiamati rascatièddi, la frascàtula è una verace polenta lucana; la frittata è fatta con peperoni e salsiccia.

Dall’allevamento vengono formaggi come il pecorino, il caprino e la ricotta, e superbi salumi. Molte aziende agricole producono ancora il paddaccio, formaggio di latte di pecora e capra lavorato manualmente, morbido, cremoso e dal gusto leggermente acidulo. Buoni anche i fagioli.