Sepino
All’incrocio dei tratturi

Comune di sepino
(Provincia di Campobasso)
Altitudine
m. 702 s.l.m.
Abitanti
2029 (700 nel borgo)

Patrono
Santa Cristina, 24 luglio
info turismo
Municipio, tel. 0874 790132
Pro Loco, tel. 338 8976223
www.comune.sepino.cb.it
www.sepino.net

Lo spirito del luogo

Il nome

Saepinum deriva da saeptum, “recinto”, per l’esistenza in epoca sannitica di una palizzata di legno che chiudeva l’area destinata agli animali, lungo il tratturo.

 

La storia

VI-V sec. a.C., il primo stanziamento è opera dei Sanniti della tribù dei Pentri, giunti dalla Sabina in seguito alla pratica del Ver Sacrum (primavera sacra): dopo ogni guerra o carestia, era abitudine dei Sabini consacrare al dio Marte i figli nati in quell’anno, con la promessa che, raggiunta la maggiore età, avrebbero cercato nuove terre guidati da un toro, stabilendosi dove l’animale si sarebbe fermato; qui i pastori sanniti costruiscono una palizzata di legno a racchiudere l’abitato, che poi spostano più a monte, trasformandolo nella roccaforte di Terravecchia.
293 a.C., Terravecchia è espugnata dai Romani durante la terza guerra sannitica, dopo una battaglia in cui perdono la vita 7400 sanniti; i sopravvissuti si spostano a valle, riorganizzando l’abitato ai margini del tratturo Pescasseroli-Candela; nel 91-88 a. C. Silla spegne le ultime resistenze dei Sanniti, imponendo la cittadinanza romana agli abitanti del municipium di Saepinum in base al censo e iscrivendoli alla tribù dei Voltinii; tra il 2 a.C. e il 4 d.C. il centro urbano è circondato da mura, torri e porte.
667, i duchi longobardi cedono la piana a una colonia di Bulgari; risale forse a questo periodo il nuovo nome della città, Altilia, dal germanico Alt (antico) e Theil (parte).
882, Altilia è definitivamente abbandonata a favore di una posizione più a monte, al riparo dalle incursioni saracene; nasce il castellum Saepini, l’attuale borgo.
1024, il normanno Rodolfo occupa con il suo esercito la contea di Boiano, cui appartiene Sepino, che diventa poi una baronia del ramo cadetto della famiglia De Molisio.
1566, Scipione Carafa acquista da Giovanni, conte di Altavilla, la baronia di Sepino.
1740, una nipote di Francesco Carafa porta la baronia in dote alla famiglia Della Leonessa.

I tetti in coppi, visti dall’alto della strada che porta alle terme, e il campanile a “cipollino” in ferro battuto della chiesa di Santa Cristina introducono a questo borgo, posto sulla prima balza di un colle, alle pendici dei monti del Matese. Nel nome di Sepino è racchiusa una storia millenaria che inizia con la pratica sabina del Ver Sacrum, poi con la prima palizzata sannitica che recinta il villaggio, quindi con la fortezza espugnata dai Romani, cui segue il nuovo assetto municipale dato dai conquistatori, che riedificano la città più a valle, all’incrocio tra un grande tratturo e uno secondario, perché Sepino era soprattutto un luogo di passaggio, di ricovero delle greggi e un posto di mercato. Della monumentale città romana rimangono le rovine che, da sole, meritano il viaggio sin qui. I pastori, dalla distruzione di Altilia a pochi decenni fa, sono stati gli unici a passare con le greggi nella città morta, fantasticando tra i ruderi. Circondata dai boschi, la nuova Sepino ha balconi da cui penzolano gerani, muretti cui si aggrappa la parietaria, fili di bucato stesi al sole e il profumo dei soffritti che esce dalle finestre socchiuse.

Sepino è nata sul tratturo come posto di sosta per le greggi e i pastori che percorrevano le vie della lana. Con le guerre sannitiche gli abitanti si spostarono sulla montagna chiamata Terravecchia, dove costruirono una città definita da Livio “fortissima e molto potente”, e tuttavia espugnata dai Romani. Questi costruirono la nuova città adattando il cardo e il decumano ai preesistenti assi viari utilizzati dai Sanniti. L’impostazione urbanistica romana è perfettamente leggibile. Nelle mura si aprono quattro porte. Cominciamo la nostra visita all’area archeologica da Porta Tammaro, dove un gruppo di case dalle murature in pietra imprigiona una struttura ad arco; vicino al lato destro della porta è conservato un fallo, simbolo apotropaico di virilità e magia. Proseguendo lungo le mura troviamo la torre nord e il teatro, attorniato da casali settecenteschi che si integrano bene con l’ambiente. Edificato nel I secolo d.C., il teatro poteva contenere fino a tremila spettatori. Vi si rappresentavano ludi scenici e pantomime; in estate si sollevava il velarium per proteggere gli spettatori dal sole. Appena fuori le mura sorge il monumento funerario che Publius Numisisus Ligus, tribuno dei soldati della legione terza di Augusto, dedicò alla moglie e al figlio. Arriviamo a Porta Boiano, la meglio conservata. Sul prospetto esterno si notano la chiave di volta con personaggio barbuto a rilievo, forse Ercole; due statue di prigionieri germanici in catene; l’iscrizione dedicatoria che ricorda i finanziatori dell’opera, Tiberio e Druso, figli adottivi di Augusto. A sinistra, a ridosso della cinta muraria, alcuni locali strettamente connessi ospitavano le terme, i cui mosaici sono conservati presso il museo di Porta Benevento.
Lungo il decumano, dove si affacciavano le botteghe, si incontrano sul lato destro il tempio, il il mercato (macellum), il tribunale e, all’incrocio con il cardo, la basilica, formata da un’unica navata centrale con peristilio delimitato da venti colonne a capitello, di cui nove intere; più avanti, il foro, la fontana e il quartiere abitativo. Tornando indietro verso il foro, si vede alle sue spalle un arco monumentale, e continuando lungo il cardo si arriva a Porta Terravecchia. Sul lato sinistro del decumano, si succedono in ordine il comitium, cioè la sala destinata alle riunioni del popolo, la curia in cui si riuniva il senato della città, il tempio di Giove e quello dedicato all’imperatore Costantino; sotto di esso, la “fullonica”, luogo adibito alla lavorazione dei panni di lana e alla concia delle pelli; più avanti, le terme pubbliche del foro, una domus chiamata “casa dell’impluvium sannitico”, la fontana del grifo, il mulino ad acqua.
Terminiamo la visita a Porta Benevento, con le due torri ai fianchi e gli elementi decorativi corrispondenti a quelli di Porta Boiano (nella chiave di volta, l’effigie di un guerriero con elmo, o forse di Marte, dio della guerra). Oltre la porta, la torre cilindrica posta su basamento quadrangolare è il mausoleo del magistrato Caio Ennio Marso, il cui cursus honorum è ricordato nell’iscrizione e negli elementi decorativi del prospetto anteriore. Possiamo iniziare ora la visita al centro storico di Sepino, che presenta edifici con rifiniture a intonaco alternati a fabbricati in pietra a vista. La cinta muraria del IX secolo è in gran parte inglobata nelle abitazioni: sono ancora visibili due porte e tre torri cilindriche. Alcuni portali monumentali e edifici, come il settecentesco palazzo Giacchi e il rinascimentale palazzo Attilio dalle eleganti finestre e portali in pietra rosa, conferiscono un tocco signorile a un’architettura per lo più rurale, senza tante pretese stilistiche. La fontana della Canala è del XVI secolo, mentre in quella del Mascherone è ricollocato un mascherone del II secolo d.C.
La chiesa di Santa Cristina, sopravvissuta al terremoto del 1805, comincia la sua storia nel 1099, quando due pellegrini diretti in Terrasanta portarono qui le reliquie della santa. Due battenti di bronzo forgiati nel 1127 nelle botteghe di Oderisio da Benevento, ricordano la dominazione normanna. Nell’interno, a tre navate con croce latina, sono da vedere il sepolcro del vescovo Attilio (1536); due altari settecenteschi in marmo; la cappella di San Carlo Borromeo (1737) con, al centro, una cornice di legno intarsiato e dorato che custodisce reliquiari dell’artigianato napoletano del Cinquecento; il coro ligneo settecentesco e la cappella Carafa. Questa è detta “del Tesoro” per le preziosità che contiene, come la porta in noce intagliata, opera di artigiani locali (1609), le nicchie cinquecentesche con cornici in pietra e il busto reliquiario di Santa Cristina, in argento e rame dorato del XVII secolo. La cripta è stata restaurata nel 1999.

Piaceri e Sapori

Pesca e canoa sul fiume Tammaro; trekking sui sentieri montani e sul tratturo Pescasseroli-Candela, dov’è possibile anche il cicloturismo; escursioni a cavallo; campeggio libero sul pianoro di Campitello di Sepino: nordic walking in tutta l’area del Matese; cure termali alle terme di Sepino in Contrada Pilone (tel. 0874 790132).

Dalla città romana sul tratturo si raggiunge la città sannitica di Terravecchia a 950 m d’altitudine, con una mezz’ora abbondante di cammino attraverso sentieri nella natura. La cinta muraria a doppia cortina si sviluppa per circa un km e mezzo e comprende tre porte. L’itinerario archeologico è legato a quello naturalistico, perché è ancora possibile percorrere il millenario tratturo Pescasseroli-Candela, una di quelle piste erbose che dal tempo dei Sanniti hanno permesso lo spostamento stagionale di milioni di ovini dalle montagne abruzzesi e molisane alle pianure della Puglia, e viceversa. La transumanza è una civiltà, una cultura, che in epoca aragonese, nel XV secolo, fu codificata secondo le regole imposte dalla Regia Dogana di Foggia. La “mena delle pecore” avveniva attraverso i tratturi che oggi, ripristinati, sono utilizzati come sentieri per il trekking, a memoria dell’antica civiltà pastorale.Il territorio di Sepino è ricco di boschi d’alto fusto, con piacevoli luoghi di sosta attrezzati come Campitello di Sepino. è consigliabile l’escursione a Pianoro di Sepino, a 11 km dal paese e a 1320 m di quota, per cogliere a pieno il fascino della montagna. Al confine nord del territorio comunale si sviluppa l’oasi WWF più estesa d’Italia, quella di Guardiaregia-Campochiaro, con gli spettacolari fenomeni carsici di canyon, cascate e grotte (per visite guidate: tel. 338 3673035).

Museo Archeologico di Sepino-Altilia:
allestito all’interno delle abitazioni rurali sorte sulla cavea del teatro, vi trovano posto reperti ordinati in sequenza cronologica dalle età più antiche al basso medioevo.

La Crianzola,
8 gennaio: seguendo un’antica usanza, il sindaco invita a cena i capifamiglia del paese e delle contrade, con vini offerti dai produttori locali.

Santa Cristina a Sepino,
9-10 gennaio: l’arrivo delle reliquie della patrona, il 10 gennaio 1099, è ricordato suonando le campane a mano dal pomeriggio del 9 a tutta la notte.

Festa di Santa Cristina,
23-24 luglio: il tradizionale mercato e la fiera del bestiame aprono le cerimonie che ricordano il martirio di Santa Cristina, accompagnata in processione da due bande musicali che alla fine, convergendo da punti diversi, s’incontrano nella piazza dando avvio a un concerto comune.

Festa dell’Emigrante,
25 luglio: dopo la celebrazione della messa, un pranzo riunisce tutti gli emigranti tornati in paese in occasione dei festeggiamenti della santa patrona.

Sagra dei Bufù,
31 dicembre – 1 gennaio: nella notte di Capodanno è tradizione la serenata augurale portata a tutto il paese dai suonatori di bufù, rudimentali strumenti musicali costruiti artigianalmente: si tratta di grosse botti di legno, ricoperte con pelli di animali; al centro della pelle è legata una canna che, per strofinamento, la fa vibrare, producendo il caratteristico suono.

Pasta fatta in casa (tagliatelle corte) con ceci, fagioli o fave. Coniglio al forno. Polenta stufata con ragù.

Dal latte, derivano formaggi quali caciocavallo, manteche e scamorze. Dalle carni di maiale, prelibatezze come la soppressata, la salsiccia con finocchietto e il capocollo.