Opi
Due file di case sulla schiena di un monte 

Comune di opi
(Provincia de L’Aquila)
Altitudine
m. 1250 s.l.m.
Abitanti
452

Patrono
San Giovanni, 24 giugno
info turismo
Pro Loco, via San Giovanni, 50 – tel. 0863 910622 – 911930
Comune, via San Giovanni, 50 – tel. 0863 910606
www.comune.opi.aq.it

Lo spirito del luogo

Il nome

L’ipotesi più suggestiva è che derivi da Ope, antichissima divinità sabina, poi assimilata dai Romani, con il culto di Saturno, alla dea dell’abbondanza.

La più probabile, è che il nome venga dal latino oppidum, castello fortificato. Fantasioso anche l’accostamento al nome di Opice, sacerdotessa del tempio di Vesta.

 

La storia

VII-VI sec. a.C., il ritrovamento di una necropoli in Val Fondillo testimonia l’insediamento sannita.
III sec. a.C., durante le guerre tra i Marsi (alleati di Roma) e i Sanniti, si ipotizza che un primo abitato sia sorto intorno al tempio della dea Ope.
1188, una bolla papale di Clemente III menziona le chiese di Santa Maria Assunta (ancora esistente) e di Sant’Elia; nell’alto medioevo la popolazione è insediata in località Molino di Opi, che poi dovette abbandonare per una posizione più difendibile sulla cima del costone roccioso.
1284, muore senza eredi Berardo II di Sangro, signore di Opi; il feudo passa nelle mani della sorella Margherita che sposa Cristoforo d’Aquino, inaugurando il possesso dei D’Aquino che continuerà fino al XV sec., trasferendosi poi ad altri signori; finito il dominio dei D’Avalos, Opi passa sotto il controllo di altre potenti famiglie, finché il feudo non si estingue nel 1806 con la legge napoleonica sull’eversione della feudalità.
1456, un violento terremoto devasta l’Abruzzo e il borgo.
1591, è molto fiorente l’attività della pastorizia: un ricco argentario di Opi porta sul Tavoliere 4316 pecore.
1654, un terremoto distrugge la chiesa parrocchiale, ricostruita due anni più tardi.
1711, Opi conta 600 abitanti.
1809, il territorio è infestato da bande di briganti, tanto che i contadini rinunciano a raccogliere il fieno.
1816, è decretata l’unione amministrativa di Opi e Pescasseroli.
1854, Opi torna a essere comune autonomo.
1861, i cittadini, favorevoli ai Borboni, si rifiutano di riconoscere il tricolore italiano; continuano gli scontri tra i Bersaglieri e le bande di briganti.
1884, inizia la grande emigrazione verso le Americhe: in quindici anni il paese perde 520 cittadini.
1915, si abbatte su Opi e la Marsica un altro disastroso terremoto; la replica del 1984 lesiona l’antico campanile.

Posto su un’altura a schiena di cavallo, lambito dalle rocce, con le sue case in pietra, il borgo cerca di sopravvivere ai terremoti che con continuità minacciano di disfarlo. Un disegno di Escher, il visionario artista olandese, ce lo mostra in groppa alla sua collina, come nave arenata – in inverno – in un mare di ghiaccio. Opi è un luogo totalmente modellato sul territorio, in equilibrio instabile, come un lungo e bianco gregge di pecore su un dirupo. L’aspro carattere marsicano contrasta con l’origine, probabilmente fiabesca, del nome: opes in latino significa abbondanza, ma l’unica che qui si sia mai vista, era quella degli armenti, delle pecore e dei pastori. Oggi quel pugno di case nell’impervio paesaggio abruzzese può comporre la sua nuova sinfonia pastorale guardandosi intorno e vedendosi diverso in ogni stagione. Carrarecce innevate, torrenti che fluiscono nelle valli, policromie di fiori allo scioglimento delle nevi, vecchi tratturi percorsi da giovani viandanti, boschi secolari dove allo sguardo dei briganti si è sostituito quello fuggitivo del camoscio: Opi ha forse trovato la sua Ope.

Non ci sono edifici di particolare rilievo a Opi, anzi è già un miracolo che i numerosi terremoti che si sono susseguiti nel corso dei secoli abbiano risparmiato la struttura medievale del borgo, risalente all’anno Mille, come si nota dalle abitazioni costruite l’una accanto all’altra sul ciglio delle rocce. L’ultimo terremoto del 2009 non ha colpito Opi e il Parco Nazionale d’Abruzzo, né la devastazione edilizia è riuscita ad aggredire più di tanto un luogo esposto, già di suo, all’opera imperscrutabile della natura.
Una natura che nella sua potenza rivela la bellezza del paese, incastonato in mezzo a una corona di montagne tutte visibili dall’abitato, come il monte Marsicano, il monte Amaro, la Val Fondillo, la catena delle Camosciare e quella del Monte Greco, il monte Irto e il monte Petroso, fino all’ampia valle che collega Opi con Pescasseroli.
Posto in quota a 1250 m, Opi conserva dunque il fascino della posizione e la fisionomia tipica delle comunità pastorali d’altura. La struttura urbana, rimasta inalterata nella sua forma a fuso, originata da due schiere di abitazioni che costituivano la protezione muraria, rivela quello che dovrebbe essere il significato vero del toponimo, vale a dire oppidum, “castello fortificato”. Ad attrarre, comunque, è sempre questa fantastica forma, che fa assomigliare Opi, se vista dall’alto, a una goccia o, in inverno, a una nave in mezzo a una distesa di ghiaccio. E c’è, in estate, chi la vede come un’isola in mezzo a un mare di verde.
A passeggio per il centro storico, conviene portarsi nella parte più antica dell’abitato che si affaccia sulla Foce, una stretta gola scavata dal fiume Sangro, dove sorge il Museo del Camoscio con accanto l’area faunistica.
Le case avvinghiate alla roccia sono unite tra loro da una strada principale al centro e vicoli laterali chiamati v’ttal, che le stringono alle vecchie stalle dove venivano accuditi gli animali.
Oltre al palazzo secentesco attuale sede del municipio, a Opi sono da considerare due edifici religiosi. Il primo è la chiesa di Santa Maria Assunta, situata a metà strada tra il nuovo centro e il nucleo storico, danneggiata più volte dai terremoti e ricostruita nella forma attuale nel XVII secolo, con campanile restaurato nel 1556 ma che tradisce la struttura romanica originaria della chiesa, sorta nel XII secolo. Il secondo edificio è la cappella di San Giovanni Battista, collocata nei pressi della piazza principale, edificata in epoca barocca (inizio XVII secolo) da Vincenzo Rossi, nobile del luogo. Recenti restauri hanno portato alla luce decorazioni lignee, stucchi e marmi policromi.
Nelle vicinanze del centro, in contrada Casali, si scorgono le tracce di un luogo sacro, da alcuni attribuito al culto della dea Ope.

Guarda tutti i video sulla pagina ufficiale Youtube de I Borghi più belli d’Italia.

Piaceri e Sapori

Poiché la natura qui è padrona, non mancano le possibilità di escursionismo, passeggiate a piedi, a cavallo o in mountain bike lungo gli oltre cinquanta sentieri del Parco Nazionale d’Abruzzo. E, dai 1250 m di altitudine di Opi, gli amanti degli sport invernali trovano il loro luogo ideale sulle piste di sci di fondo del bellissimo altopiano di Macchiarvana, apprezzabile anche in estate per il fresco delle folte faggete. Infine, si può praticare il canottaggio sul lago di Barrea o quello di Scanno. Per informazioni sullo sci di fondo: Centro Fondo Macchiarvana, tel. 338 1597354, 0863 910622.

Il borgo si trova all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, in un anfiteatro naturale di imponenti montagne ricche di boschi. Questo angolo della regione custodisce, negli ampi altopiani incastonati tra le foreste, presenze animali rarissime quali l’orso bruno marsicano, il camoscio d’Abruzzo, il lupo appenninico, l’aquila reale, la lince. Innumerevoli quindi le passeggiate e le escursioni che possono iniziare da Opi.
Un magnifico itinerario è quello che sale al monte Amaro (1862 m) dalla Val Fondillo per la cresta ovest: dal punto più alto, lo sguardo abbraccia le fitte faggete della Val Fondillo, le vette selvagge della Camosciara e l’imponente mole del Marsicano al di là della Valle del Sangro. Facile incontrare i camosci intorno al limitare del bosco. Una piacevole passeggiata attraversoi boschi è quella che segue il fondovalle della Val Fondillo, lungo l’antica mulattiera che, attraverso il Passaggio dell’Orso, conduce verso la Val Canneto e il versante laziale del Parco. Ripida e fittamente boscosa, la Camosciara è uno dei luoghi segreti del Parco, raggiungibile all’inizio con una comoda mulattiera, e poi con sentieri più ripidi che consentono splendidi colpi d’occhio su cascate, integre faggete e montagne a perdita d’occhio.
Infine, il versante sud del monte Marsicano (2245 m) è ripido e solare.

Museo del Camoscio:
via torre Broghetto, tel. 0863 910715: nelle tre sale dell’edificio signorile costruito dalla famiglia Bevilacqua a cavallo tra Sei e Settecento, si impara tutto del camoscio, l’animale simbolo di Opi, e sul Parco d’Abruzzo. Adiacente allo spazio espositivo, è l’area faunistica in cui vivono in semi libertà, sei esemplari di camoscio. Per ammirarli sono state predisposte due aree di avvistamento nella partealta del paese.

Museo dello Sci:
presso la sede comunale: piccola esposizione di attrezzi sciistici usati nel secolo scorso, con corredo fotografico.

Sant’Antonio Abate,
17 gennaio: antica festa contadina.

Festa di San Giovanni,
24 giugno: si ricorda il patrono del paese con un mercatino dell’artigianato locale (legno, ferro, tombolo, uncinetto).

Rappresentazione degli Antichi Mestieri,
25 aprile: rievocazione del ritorno dei pastori e dei mulattieri, con degustazione della “minestra del pastore.”

Festività Natalizie,
24 dicembre-6 gennaio: a inaugurare le feste è il catozze, il grande fuoco di Natale realizzato in piazza con la legna offerta da ogni capofamiglia.

Corpus Domini:
infiorata e processione per le strade del borgo a cura delle Confraternite.

Pellegrinaggio alla Madonna di Canneto,
21-22 agosto: traversata a piedi da Opi fino al santuario, passando per la Val Fondillo, il Passaggio dell’Orso e la Val Canneto.

Sagra degli Gnocchi,
fine agosto: gnocchi al sugo di pomodoro, cacio pecorino, pane e vino, accompagnati da musiche e fuochi pirotecnici.

Sapori d’Autunno,
fine ottobre: degustazione di arrosticini di castrato, caldarroste, cacio pecorino, bruschetta e vino, a cura della Pro Loco.

I pastori con i loro greggi sono all’origine delle tradizioni culinarie dei borghi d’altura attraversati dai tratturi.
Ecco dunque la m’paniccia (fette di pane raffermo ammorbidito nel siero ancora caldo), la pecora al cotturo, la m’cisca (carne di pecora essiccata), la ricotta e il pecorino. Ricordiamo anche i cicatelli con le foglie e le frittelle di cavolfiore. Il pasto termina con un dolce tipico come i tanozzi e con il fragolino, un liquore fatto con le fragoline di bosco.

Formaggi freschi e stagionati di pecora e capra.