Acquasparta-stemmaAcquasparta
Rinascimento Umbro

Comune di ACQUASPARTA
(Provincia di Terni)
Altitudine
m. 320 s.l.m.
Abitanti
4849

Patrono
Santa Cecilia, 22 novembre
info turismo
Comune, Tel. 0744 944811
www.comune.acquasparta.tr.it
comune.acquasparta@postacert.umbria.it

Lo spirito del luogo

Acquasparta-stemmaIl nome
Deriva dal latino ad acquas partas (acque sparse) e indica la ricchezza d’acqua del luogo, posto tra le sorgenti dell’Amerino e di Furapane e in prossimità delle fonti di Sangemini e di Fabia.

 

La storia
962, il luogo, per breve tempo parte del ducato longobardo di Spoleto, è dato in feudo dall’imperatore Ottone I al fedele conte Arnolfo, cui si deve la costruzione delle abbazie di Santa Barbara e di San Nicolò, attorno alle quali si sviluppa il primo abitato.
1002, la prima notizia documentata sulle Terre Arnolfe riguarda uno scambio di terre tra l’imperatore Enrico II e il papa Benedetto VIII: a quest’ultimo vanno possedimenti fra Terni, Spoleto e Narni, per ottenere i quali i discendenti di Arnolfo diventano vassalli della chiesa; alla fine del XII secolo Acquasparta è ancora parte del dominio dei discendenti di Arnolfo.
1489, dopo due secoli sotto la giurisdizione di Todi, il papa Innocenzo VIII dichiara Acquasparta terra franca, cioè libera; questa libertà è minacciata intorno al 1500 dalle lotte intestine di Todi, finché il papa Alessandro unisce di nuovo Acquasparta alle Terre Arnolfe poste sotto il dominio della Camera Apostolica.
1588, papa Sisto V erige Acquasparta a ducato e Federico Cesi ne è il primo duca; la cittadina raggiunge il massimo splendore sotto il figlio Federico Cesi II “il Linceo”, che nel 1603 fonda a Roma l’Accademia dei Lincei con l’intento di studiare le scienze della natura in modo sperimentale e libero da pregiudizi; alla morte di Federico II il feudo passa nelle mani del fratello Giovanni Federico che, risiedendo a Roma, si fa rappresentare da un governatore.
1624, Galileo Galilei è ospite di palazzo Cesi.
1798, sotto gli influssi della Repubblica Romana è creata la municipalità di Acquasparta, sottoposta a quella di Spoleto; alla caduta di Napoleone si riafferma il potere papale, subentrato nel 1800 alla famiglia Cesi.

Acquasparta è il Rinascimento umbro, è la storia che parla con mille voci perdute: quelle romane delle vicine rovine di Carsulae; quelle delle Terre Arnolfe, antico feudo autonomo dentro lo Stato della chiesa; quelle romaniche di San Giovanni de Butris, quelle francescane del grazioso portico dietro l’abside della chiesa di San Francesco. La cittadina, attraversata dall’antica via Flaminia, conserva dentro la cerchia muraria il suo cuore medievale, ma l’impronta che più la connota è il Rinascimento rappresentato dalle architetture di palazzo Cesi, intorno al quale si snoda tutto il percorso urbano, e della chiesa di Santa Cecilia, in cui si trovano le tombe dell’illustre famiglia. Il palazzo fu sede dell’Accademia dei Lincei voluta da Federico II Cesi, una delle più antiche accademie scientifiche del mondo. La natura che quegli studiosi indagavano, si faceva bella appena oltre la “Porta Vecchia” della cinta muraria che racchiude il borgo: dolci colline coperte di ulivi, faggi, castagni, e anche vigne, dai colori sempre diversi a seconda delle stagioni.

Si entra nel borgo da due accessi principali. Il primo, attraverso la “Porta Vecchia”, immette alla parte più antica e sale per i “cordoni”, via ripida e tortuosa fino alla sommità del centro storico. Il secondo è quello di Corso dei Lincei, la via principale che porta direttamente al cuore di Acquasparta, la piazza intitolata a Federico Cesi, fondatore nel 1603 dell’Accademia dei Lincei. La costruzione di palazzo Cesi (1561-1579), appartenuto all’illustre famiglia umbro-romana, fu voluta dal cardinale Federico I Cesi sul luogo di una rocca distrutta agli inizi del Cinquecento durante le guerre fra Todi, Terni e Spoleto. Di aspetto nobile e sereno, il palazzo all’esterno è animato dal grande portale a bugne sulla cui sommità si innestano la loggia in pietra e una serie di finestre con gli stipiti di travertino. Il prospetto si articola verso la piazza Federico Cesi con due robusti corpi laterali; all’interno, verso il giardino, si nota l’elegante loggia a due piani. Nel cortile antistante si trovano la torretta dove il principe era solito ritirarsi e l’orto botanico utilizzato nel XVII secolo come giardino botanico e laboratorio di sperimentazione scientifica dai membri dell’Accademia dei Lincei. Al piano nobile affreschi e soffitti lignei a cassettoni con intagli testimoniano la ricchezza decorativa delle sale. Autore degli affreschi è Giovan Battista Lombardelli, pittore di origine marchigiana attivo a Roma. Intessuta di mitologie e storie romane di trionfi, allegorie ed emblemi, la decorazione di palazzo Cesi costituisce uno dei maggiori esempi della pittura di gusto romano in Umbria del Cinquecento. Nella sala del trono spiccano le tele Mosè e le figlie di Jetro di Matteo Rosselli (Firenze 1578-1650) e la Fuga di Lot da Sodoma di un pittore fiorentino suo contemporaneo. La chiesa di Santa Cecilia, restaurata nel 1761, fu innalzata sul luogo della basilica romanica i cui resti si ammirano nell’abside che si ammira lungo l’attuale via Colonna. Lo spazio liturgico è caratterizzato da un’unica navata centrale e da otto cappelle che accolgono opere pittoriche di artisti dell’Italia centrale (fine XVI secolo-seconda metà del XVIII). Nella cappella funebre delle famiglie Liviani e Cesi, realizzata nel 1581 per volere di Isabella Liviani, riposano i resti del nipote Federico Cesi detto “il Linceo”. Oggi Museo della Comunità, la chiesa del Santissimo Sacramento (1685) conserva al centro del pavimento un mosaico romano del I secolo proveniente da Carsulae e lì collocato nel 1928. Nella parete di fondo la tela secentesca de L’ ultima cena è attribuita alla scuola di Livio Agresti.
La chiesa del Crocefisso, costruita agli inizi del XVII secolo, apparteneva alla Compagnia della Madonna del Giglio, che nel contiguo Hospitalis Sanctae Mariae de Lilio accoglieva poveri e malati. Al suo interno i conservano tele realizzate tra il XVII e il XIX secolo. La chiesa di San Giuseppe, nell’omonima via, fu eretta dalla Compagnia di San Giuseppe nel 1737. In essa vi è un solo altare con alle spalle un quadro secentesco. Posta fuori le mura, la chiesa di San Francesco (1294) è espressione dell’architettura francescana “povera”. Dietro l’abside si notano il piccolo chiostro francescano recentemente ristrutturato, il refettorio e parte dei dormitori. All’interno si conservano l’icona della Madonna della Stella (prima metà del XIV secolo), una tela francescana, copia della tela di Margheritone di Arezzo che si trova in Firenze agli Uffizi, e il trecentesco Crocifisso ligneo portato qui dalla chiesa di San Giovanni di Butris. Alle pareti, episodi della vita del Poverello di Assisi.
Sempre fuori dalla cerchia urbana si trova il complesso monumentale di San Francesco, oggi “Casa della cultura Matteo d’Acquasparta”. Il complesso architettonico, dedicato al suo fondatore, il cardinale ambasciatore di Bonifacio VIII, Matteo Bentivegna (nato nel 1240 ad Acquasparta e citato da Dante nella Divina Commedia) ha avuto origine probabilmente durante la metà del XIII secolo in prossimità di una cappella votiva più antica dedicata alla Madonna della Stella. Infine, lungo la strada Tiberina che ricalca fedelmente il tracciato della vecchia via Flaminia, la romanica chiesa di San Giovanni de Butris, costruita sopra un ponte romano a due archi intorno al XIII secolo, apparteneva all’Ordine dei Cavalieri di Malta.

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Piaceri e Sapori

Trekking sui monti Martani.

Tra le nove frazioni del capoluogo sono vedere: in direzione Todi, il borgo di Casigliano, nato intorno al maniero cinquecentesco degli Atti; in direzione Spoleto, Casteldelmonte, castello medievale tra boschi e castagneti, noto per la sagra della castagna; a sud-ovest di Spoleto, Macerino con il suo castello a forma di rettangolo allungato sulla cima di un monte, ancora oggi circondato da mura; infine Portaria, sulla costa dei monti Martani a dominio della valle del Naia. Il borgo, sorto nel XII secolo, ha la cinta delle mura castellane quasi intatta. Spicca nel tessuto urbanistico di questa “terra arnolfa” la piazza pavimentata a riquadri di travertino e spinata in laterizio, su cui si innesta la torre dell’Orologio duecentesca restaurata nel Seicento e nel 1967. La chiesa dei Santi Filippo e Giacomo fu costruita dopo il Mille usando materiale asportato dalla città romana di Carsulae.

Casa della Cultura Matteo d’Acquasparta: ospita nell’ex convento di San Francesco una mostra permanente di reperti archeologici collegati alla via Flaminia.

Museo della Comunità:
inaugurato nel 2014, espone oggetti d’arte che vanno dal III al XX secolo.

Carnevale dei Bambini:
carri allegorici nel centro storico per tre domeniche consecutive.

Festa del Rinascimento,
prima quindicina di giugno: rievoca l’arrivo in Acquasparta del principe Federico Cesi, fondatore dell’Accademia dei Lincei, il 14 maggio 1614 con tutta la sua famiglia. I momenti culminanti della festa sono il “corteo dei doni” con trecento figuranti in costumi secenteschi, la gara del “piatto rinascimentale” con riproposizione di piatti dell’epoca e il “teatro di contrada”.

Festa del Vino Novello, novembre: degustazione di castagne e vini novelli.

Presepe Vivente, periodo natalizio: sacra rappresentazione con 150 figuranti, opera della parrocchia di Santa Cecilia; svolgimento dei mestieri tradizionali lungo i vicoli.

Pizza sotto il fuoco acquaspartaI picchiarelli sono una pasta tirata a mano e della grandezza di una cordicella. Vanno serviti con sugo piccante.
La pizza al testo è una torta salata di acqua e farina, farcita con verdura e salsicce o prosciutto, cotta su un testo di ghisa o, nei mesi invernali, sotto il fuoco.

E’ l’acqua dell’Amerino, minerale, curativa, conosciuta dall’antichità per la sua efficacia contro calcolosi, gotta e acidi urici. Nel medioevo era conosciuta come “acqua di San Francesco” poiché il santo, nelle numerose peregrinazioni nella zona, ne avrebbe tratto giovamento per la sua salute malferma.
Accanto all’acqua, prodotti tipici sono l’olio, il tartufo e le castagne.