Monteverde
Il nido della cicogna nera 

Comune di monteverde
(Provincia di Avellino)
Altitudine
m. 740 s.l.m.
Abitanti
808 (200 nel borgo)

Patrono
Santa Caterina d’Alessandria, 25 novembre
San Michele Arcangelo, 8 maggio
info turismo
Comune, piazza via Fontana – tel. 0827 86043
Pro Loco, via Michelangelo
www.comune.monteverde.av.it

Lo spirito del luogo

Il nome

Il toponimo Montis Viridis fa riferimento al verde dei boschi che circondavano il monte su cui sorse il castello. I boschi furono poi sostituiti dalle colture cerealicole.

 

La storia

IV-III sec. a.C., risalgono a questo periodo le mura pelasgiche che proteggevano un insediamento sannita, forse identificabile con Cominium Ocritum, assoggettato insieme con tutta l’Irpinia dai Romani nel 293 a.C.; la presenza romana è documentata dai resti del ponte sul fiume Ofanto, chiamato Pietra dell’Oglio, e dai ritrovamenti di oggetti d’arte, armature, monete e reperti provenienti dalle colonie greche.
897, una pergamena in scrittura longobarda attesta la presenza sul monte Serro della fortezza militare «castrum Montis Viridis».
1049, Monteverde è sede vescovile fino al 1531, quando la diocesi viene accorpata a quella di Barletta e Canne, per poi essere soppressa nel 1818.
1059, il borgo passa ai Normanni con l’investitura di Roberto il Guiscardo del titolo di duca di Puglia, Calabria e Sicilia da parte del papa Niccolò II.
1532, il feudo passa ai Grimaldi, principi di Monaco, fino al 1641.
1656, la peste e le carestie affliggono la popolazione.
1662, i Caracciolo diventano signori di Monteverde.
1695, il feudo entra nei possedimenti dei baroni calabresi Sangermano, che lo tengono fino alla legge di eversione della feudalità del 1806.
1861, come reazione all’Unità d’Italia, la banda del brigante Crocco saccheggia il borgo e il castello baronale; negli anni successivi al 1960 il paese, già interessato dal fenomeno dell’emigrazione all’estero tra le due guerre, si svuota per quasi due terzi, alimentando il flusso migratorio verso le industrie del nord Italia.

Qui non ci sono cemento e veleni. Monteverde è l’altra faccia della Campania, il posto dove ha scelto di nidificare la rarissima cicogna nera. Segno che non tutto è perduto, anzi: lo schivo animale ha bisogno di un habitat selvaggio e, poiché tra le pale eoliche non può fare il nido, forse fermerà l’insensato progetto dell’ennesimo parco eolico. In questa terra di confine, che sarebbe bellissima se fosse lasciata in pace, Campania, Lucania e Puglia s’incontrano. Monteverde, posta sotto l’ala del suo castello e lambita dal fiume Ofanto – quello della battaglia di Canne -, è circondata da campi di grano e vede da lontano il mare di Manfredonia. Le acque, però, le ha anche in casa: sono quelle del lago artificiale di San Pietro, che uno spettacolo di son et lumières rende effervescenti in estate. Arroccato intorno alla fortezza aragonese, il borgo è sopravvissuto ai terremoti con le sue vecchie case costruite in arenaria locale, ma tante ancora sono le pietre che aspettano di essere ricomposte.

Monteverde sorge su un colle nell’alta valle dell’Ofanto, ai confini orientali della Campania, in quella terra d’Irpinia che ha come animale totemico il lupo (hirpus in osco, la lingua dei Sanniti).
Il centro storico, arroccato intorno al castello, si adegua alla morfologia del luogo, più volte sconvolto dai terremoti, e conserva l’originario tessuto urbano dei paesi irpini d’altura, con le strette viuzze a gradoni per raccordare i dislivelli delle cerchie stradali, e uno spazio fisico angusto dove non raro è l’utilizzo della roccia a scopi abitativi. Passeggiando nei vicoli, si nota, inglobata in un’abitazione, una roccia plasmata dal vento a forma di elefante. Frequente è anche la soluzione della loggia su ampie arcate realizzate con pietra locale. L’aggregazione a schiera delle abitazioni lungo la serie concentrica di vicoli, archi e scalinate che seguono l’andamento del colle, ha donato compattezza al borgo.
Il castello, costruito in pietra locale sbozzata e lavorata, è stato adattato e ampliato nel XV secolo dagli Aragonesi sul torrione innalzato dai Longobardi a difesa dei confini del ducato di Benevento. Dotato di quattro torrioni cilindrici posti agli angoli di una struttura a pianta irregolare, è stato trasformato da fortezza a residenza signorile nel 1744 dai baroni Sangermano che vi hanno aggiunto l’ala destra. Il torrione meglio conservato è quello all’angolo meridionale. Il castello è stato completamente riqualificato nel 2006. Ai suoi piedi è ancora visibile una porzione di mura pelasgiche-sannitiche (IV-III secolo a.C.).
Nelle stradine lastricate, l’attenzione è spesso catturata dagli edifici d’interessante fattura della borghesia terriera ottocentesca, come i palazzi Pelosi e Spirito in via Bocchetti, abbelliti da artistici portali.
Quanto ai luoghi di culto, il principale è la ex cattedrale dedicata a Santa Maria di Nazareth. Sovrastata dal castello, si presenta a noi nelle forme barocche del rifacimento del 1728, ma il primo impianto è del XIV secolo, con ampliamento nel XVI. L’ultimo restauro seguito al terremoto del 1980 ha svelato strutture romaniche. All’interno conserva dipinti di scuola napoletana del Seicento, statue lignee e altari di età compresa tra il XV e il XVIII; un crocifisso è stato recentemente datato al XIII secolo.
Anche la chiesa parrocchiale è intitolata a Santa Maria di Nazareth ed è stata ricostruita nel 1728, ma il rifacimento è del 1901; l’impianto primitivo risale all’XI secolo e i dipinti all’interno sono settecenteschi. La chiesa di Santa Maria del Carmine, settecentesca, era annessa al convento dei Carmelitani soppresso nel 1652; ha una torre campanaria con bifore gotiche del 1888. Piccole sono la chiesa di Sant’Antonio (XVII secolo) e la chiesetta rurale di San Rocco all’ingresso del borgo, di cui non sfugge il recente restauro.

Piaceri e Sapori

Equitazione, trekking, passeggiate lungo la valle dell’Ofanto.

L’antico Aufidus scorre in una valle geologicamente fragile, con problemi di dissesto idrogeologico, soprattutto nella parte irpina. La Valle dell’Ofanto è oggi un itinerario culturale e dal 2003 un progetto di «archeologia dei paesaggi» dell’Università di Foggia, che cerca di ricostruire i processi di trasformazione dei paesaggi agrari e la storia dell’insediamento umano in rapporto all’ambiente. Del territorio naturale di Monteverde, inserito nella Comunità Montana Zona Alta Irpinia, fanno parte il lago artificiale San Pietro e il fiume Ofanto con il suo l’affluente di sinistra, l’Osento: si tratta di un “sito d’importanza comunitaria” al pari del bosco Zampaglione, altro tesoro naturalistico. Sorprende la natura rigogliosa di questi luoghi, tutti attrezzati con area di sosta per pic-nic.

Festa di San Michele Arcangelo,
8 maggio: la statua del compatrono, arrivato con i Longobardi, viene portata in processione fino alla Badia di San Michele a Monticchio, sulle boscose pendici interne del Vulture.

Il Grande Spettacolo dell’Acqua,
27 luglio-25 agosto, tutte le sere: il lago artificiale di San Pietro esplode di luci, suoni, danze e giochi d’acqua dedicati a Gerardo Maiella, il santo del popolo; un grande spettacolo di solidarietà organizzato dalla Fondazione Insieme Per, che attraverso l’acqua e la sua magia illumina le notti d’estate rendendo protagonista un’intera comunità; www.grandespettacolo.it

Festa della Madonna della Neve,
5-6 agosto.

Festa della Madonna del Carmelo,
18 agosto: la devozione dei confratelli in livrea delle quattro Congreghe del borgo si unisce all’allegria delle luminarie e della banda musicale.

Dalla focaccia contadina di farina di mais cotta sui tizzoni ardenti in sostituzione del pane o per arricchire il bollito di verdure di campo, si arriva a piatti più elaborati, ma sempre di derivazione agropastorale, a base di pasta fatta in casa (ravioli, orecchiette, cavatelli, lasagne), di legumi (ceci, fagioli, lenticchie, fave, cicerchie), di ortaggi (verza, cicorie, asparagi). Il robusto vino di uve Aglianico e Sangiovese accompagna insaccati e carni bianche e rosse, tra cui la testina di agnello con le patate, tipica pietanza del periodo pasquale.

Il borgo è rinomato per gli insaccati di carne suina, quali soppressata, salsiccia e capocollo, e per i prodotti caseari dell’allevamento bovino brado, come caciocavallo, scamorza, ricotta, formaggio fresco e stagionato. Vi si produce inoltre da filiera agricola, con orzo coltivato in loco, la birra artigianale Serro Croce.

Ristorazione

Al Giardino Ristorante Pizzeria

Ristorante con prodotti locali e piatti tipici di qualità. Attrezzato alla cucina per celiaci.

 Via Fontana, 4
  +39 380 5453059
  info@algiardino.eu
  www.algiardino.eu