Atzara
Vino e arte

Comune di atzara
(Provincia di Nuoro)
Altitudine
m. 553 s.l.m.
Abitanti
1193

patrono
San’Antioco, 13 novembre
info turismo
Comune, via V. Emanuele 37
tel. 0784 65205 – info@comune.atzara.nu.it
Proloco, via San Mauro
tel. 339 3561113 – prolocoatzara@tiscali.it
www.comune.atzara.nu.it – sindaco@comune.atzara.nu.it

Lo spirito del luogo

Il nome

Di etimo incerto, il villaggio ospitava forse nei suoi terreni la atzara, una pianta rampicante chiamata in italiano «clematide» o «vitalba». Secondo altri, il nome verrebbe dalla radice fenicia atzar, «luogo sicuro».

 

La storia

II-I millennio a. C., la zona è abitata già nel Neolitico: ne sono testimonianza le domus de janas in località Corongiu Senes, e i reperti rinvenuti in località Launisa; alla successiva civiltà nuragica dei thòloi) appartengono nuraghi come quello di Abbagadda («acqua calda») a sud-ovest del paese.
XI sec. d.C., risale agli anni intorno al Mille la chiesa campestre di Santa Maria Bambina, forse il più antico luogo di culto cristiano in Barbagia; l’area di Launisa corrisponde probabilmente all’antico insediamento altomedievale del tutto scomparso.
XII-XIV sec., il villaggio di Atzara è citato nel Condaghe di Bonarcado (1205), una delle fonti più rilevanti per la storia sarda del Medioevo, come appartenente alla diocesi di Arborea; compare anche in un documento del 1224 e nel Codex Diplomaticus Sardiniae tra i villaggi che firmano la pace fra Eleonora d’Arborea e il re Giovanni d’Aragona nel 1388.
1580, nella Chorographia Sardiniae di G. F. Fara il borgo è indicato come oppidum Azarae; secondo alcune fonti, all’inizio del XVII sec. si stabilisce a Atzara parte degli abitanti del villaggio di Spasulè abbandonato forse per la peste.
1900, grazie a una borsa di studio dell’Accademia di Spagna a Roma, soggiorna in paese Eduardo Chicharro, seguito nel 1907 da Antonio Ortiz Echagüe e altri pittori, non solo spagnoli (Giuseppe Biasi, Carmelo Floris, Antonio Ballero, Filippo Figari, Richard Scheurlen) che avrebbero poi dato vita a una spontanea accademia, detta «scuola di Atzara».

Conca, manos e coro: «mente, mani e cuore» riassumono lo spirito di questo villaggio sulle pendici occidentali del Gennargentu. La mente si affanna a considerare prezioso e intoccabile il vecchio tessuto urbano aragonese con le sue piccole case in granito e trachite, che nella chiesa gotico-aragonese di Sant’Antioco trova la sua espressione più alta. Le mani sono quelle che intagliano il legno, tessono tappeti e arazzi su vecchi telai, lavorano le vigne del Mandrolisai e realizzano costumi come quelli che a inizio Novecento incantarono i pittori spagnoli della scuola «costumbrista» e che ancora indossano le anziane. Il cuore è quello della gente di questo angolo di Barbagia, accogliente oltre misura, orgogliosa delle tradizioni e del suo vino che consacra l’amicizia.

Le tante case nuove, mal costruite, della periferia, non rendono chiari i motivi della classificazione di Atzara nei Borghi più belli d’Italia. A prima vista, sembra che solo l’affascinante ambiente del Mandrolisai, con le sinuose colline punteggiate di vigneti, giustifichi una visita. Invece ci sono almeno tre motivi per arrivare sin qui. Il primo è l’antico tessuto urbano di origine aragonese che ancora caratterizza i rioni del centro storico, dove sono presenti piccole abitazioni in granito. Il secondo, legato al primo, è che l’uso dei conci in granito e trachite accomuna le architetture non solo delle abitazioni del centro, ma anche delle chiese e delle strutture megalitiche come il nuraghe Abbagadda. Questi materiali esaltano la bellezza di finestre e balconi, come si nota passeggiando per i rioni dai nomi sardi, come Su Fruscu e Sa Montiga ‘e Josso, i più antichi. Il terzo motivo è l’aura artistica che, in un intreccio di pittura, arte tessile e arte vitivinicola, accende l’interesse su Atzara. Più di un secolo fa, in questo paese dimenticato in fondo alla Barbagia arrivarono pittori spagnoli che a Roma si erano imbattuti, in occasione del Giubileo del 1900, nei bellissimi costumi femminili e maschili della delegazione di Atzara. Oggi sono conservate nel museo Antonio Ortiz Echagüe le opere, un centinaio, riconducibili alla scuola spagnola del costumbrismo (da costumbre, «costume») e ai suoi seguaci sardi interessati al folklore locale.
Il museo può quindi essere il punto di partenza del nostro itinerario nel centro storico, per un’immersione nei colori e nella luce delle campagne amate dagli artisti, che ritroviamo intorno a noi quando, conclusa la visita, siamo di nuovo all’aperto. Di fronte al museo, una casa padronale con elementi liberty presenta balconi in ferro battuto e originali decorazioni sul portone di ingresso e sulle finestre. Attraversata la strada principale, si raggiunge una vasta piazza ad anfiteatro su cui si affaccia la chiesa di San Giorgio, documentata già nel 1205 e consacrata nel 1386. E’ di forma rettangolare, con navata unica, facciata in pietra e campanile a vela. Procedendo sulla via San Giorgio e sulla via Su Conte, nel patio di quello che fu il palazzo feudale detto de Su Conte (dei conti di San Martino), si nota un pozzo a base quadrata, sormontato da una cupola rivestita di maioliche. In breve si arriva in piazza Sant’Antioco, dove sorge l’edificio più importante di Atzara, la chiesa parrocchiale di Sant’Antioco in stile pisano-aragonese con interno gotico, impostato su eleganti archi a tre navate. Magnifico il rosone aragonese finemente ornato, in linea con la popolare tendenza sincretistica che, a cavallo tra XVI e XVII secolo – epoca di costruzione della chiesa – richiamava i precedenti stili gotico e aragonese. La facciata, tutta in trachite, è di forme sarde, e l’interno custodisce due altari di legno opera di intagliatori locali, una statua lignea della Vergine (XVI secolo) e argenterie cinquecentesche.
La stradina sulla sinistra della parrocchiale è un susseguirsi di vecchie case contadine con ampio portone d’ingresso e il cortile o il loggiato chiuso da robusti muri di cinta. Di fronte alla chiesa, la vecchia casa parrocchiale, coeva del palazzo aragonese dei conti di San Martino (XV-XVI secolo), conserva elementi di gusto aragonese come la finestra con davanzale in trachite e la croce incisa sulla pietra.
Continuando per il rione Su Fruscu e la via Eleonora, prima di uscire verso la campagna s’incontra un’altra abitazione padronale, casa Muggianu, dotata di due belle finestre in stile aragonese. Purtroppo le finestre con stipiti e timpani in trachite scolpita, che un tempo abbellivano tutte le case padronali, sono ora poco numerose, aggredite dal passaggio del tempo e dall’incuria. Là dove, invece, resiste il tessuto urbano aragonese, con le vecchie case basse di granito, le soffitte con le travi di quercia, le cornici di porte e finestre lavorate a scalpello, il tempo non sembra passare.
Su vicoli e piazzette si affacciano i magasinos, cantine private comequella cinquecentesca di palazzo Su Conte, dove, tra botti in castagno, soffitti con travi in rovere e pavimenti in terra battuta, gli abitanti sono pronti ad accogliere il visitatore con una bottiglia di Mandrolisai o di Moscato.
Nei dintorni si trovano le chiese campestri di Santa Maria de Josso, di Santa Maria de Susu e di Santa Maria Bambina dedicate al culto di Maria e risalenti al Mille. La seconda è ciò che resta dell’antico villaggio medievale, la terza era il centro della cristianità nella zona. Resti di alcune domus de janas (sepolture preistoriche scavate nella roccia) e il nuraghe Abbagadda con torre centrale alta sei metri, completano il patrimonio archeologico del territorio.

Piaceri e Sapori

Recentemente è stato istituito il sentiero naturalistico “Le Vie dei Vigneti” (Is Camminos de Is Bingias). Le prime vigne si scorgono appena fuori del paese, insieme con i boschi di roverelle e sughere. Dalla località Santa Vittoria si ammira il panorama più bello sui campi coltivati e i lunghi filari delle viti, appena a valle delle abitazioni. A sinistra si notano i boschi di roverella della montagna di Serra Sa Costa. In direzione nord-est, lo sguardo abbraccia le alture di Sorgono e i più lontani i monti di Tonara. Nella vallata opposta al paese, ancora vigne e campi coltivati separati da filari di pioppi e salici.

Museo Antonio Ortiz Echagüe,
piazza A. O. Echague, tel. 0784 65508: nato per diffondere la conoscenza della pittura in Sardegna e dei movimenti artistici quali la “scuola di Atzara”, ospita un centinaio di opere collegate all’arrivo dei pittori costumbristi spagnoli nei primi anni del Novecento. Chicharro e Ortiz fecero scuola tra le vigne e le cantine, aprendo la strada a una sorta di “accademia spontanea”. Su queste colline sorse un cenacolo al quale presero parte alcuni importanti pittori isolani: Antonio Ballero, Giuseppe Biasi, Filippo Figari, Carmelo Floris, Mario Delitalia, Stanis Dessy. In seguito arrivarono Bernardino Dequiros, Antonio de Castillo e Aurelio Galeppini, il celebre disegnatore di Tex. A Atzara è nato Antonio Corriga, esponente del Novecento sardo.

Museo del Vino,
via R. Margherita, tel. 0784 65205: non solo strumenti, attrezzi e tecniche per la produzione del vino, ma anche incontri sul mangiare sano e rassegne di poesia.

San Sebastiano,
20 gennaio: i falò rischiarano le fredde notti con la complicità dei dolci e del vino.

Sagra del Vino,
seconda domenica di maggio: si celebra il prodotto principe di Atzara, l’eccellente Mandrolisai, in concomitanza con i riti religiosi per Sant’Isidoro.

Santa Maria de Josso,
21-23 agosto: l’evento popolare più partecipato.

Santa Maria de Susu,
8 settembre: teatro della festa è la chiesetta campestre con rustica pavimentazione in pietra e piccolo sagrato che accoglie il pranzo comunitario.

Sant’Antioco,
13 novembre: è la festa dedicata al patrono.

Cortes Apertas,
terza decade di novembre: nei cortili (cortes) del centro storico le dimostrazioni della lavorazione del ferro, del legno, del formaggio, del pane, dei dolci, rinviano all’antica civiltà rurale.

Sa tumballa è un primo di pasta al forno in cui si uniscono pipe rigate, formaggio, uova, pan grattato e su ghisau (sugo con cubetti di carne di maiale e zafferano).
Quanto ai secondi piatti, la scelta è tra s’ortau, composto da salsiccia di maiale con milza, cuore e polmoni, pomodoro secco e prezzemolo, e sa pudda prena, piatto unico composto da gallina, uova e pesto di fegato, pomodori secchi, lardo, prezzemolo e zafferano. Entrambi per stomaci forti.
Tra i dolci ricordiamo is bucconettes a base di mandorla, sa tumballa ‘e latte a base di caffè e rum, su gattou con mandorle e zucchero.

Il vino rappresenta ancora l’elemento principale dell’economia di Atzara.
A differenza delle altre aree della Barbagia, qui non si produce solo il Cannonau: le sue uve vengono unite con un sapiente dosaggio a quelle dei vitigni Monica e Bovale (quest’ultimo giunto in Sardegna con la dominazione aragonese) per dar vita al Mandrolisai, un vino Doc di colore rosso rubino dal bouquet rotondo, ricco di sfumature e dal gusto secco e ben strutturato.
Gli altri prodotti di Atzara sono i pregiati tappeti e – sempre più rari – gli antichi costumi dai colori vivaci, indossati ormai solo dalle anziane, col particolare copricapo chiamato tiaggiòla.