Civita
Tradizioni albanesi

Comune di civita
solo centro storico
(Provincia di Cosenza)
Altitudine
m. 450 s.l.m.
Abitanti
1000

Patrono
San Biagio, 11 febbraio
info turismo
Comune, piazza Municipio
tel. 0981 73012
www.comunedicivita.it
www.prolococivita.it

Lo spirito del luogo

Il nome

Non è chiaro se il nome del paese derivi da çifti, che in lingua arbëreshë significa “coppia” (in riferimento ai due rioni di Sant’Antonio e Magazeno), da qifti, “aquila”, o dal latino civitas. In base alla morfologia del luogo, il nome giusto sarebbe “nido d’aquila”, perché il borgo, nascosto dalle rocce alla vista dei predoni saraceni, è un vertiginoso belvedere, una visione d’aquila sul mare Ionio.

 

La storia

1471, gruppi di albanesi in fuga dai turchi, dopo la morte del loro eroe nazionale Giorgio Castriota Skanderberg (1468), approdano in Calabria, dove fondano diversi villaggi tra cui Civita, edificato sulle rovine del castrum Sancti Salvatoris; l’antico sito, abitato da gente proveniente da Cassano e dalla costa ionica al tempo delle incursioni saracene (1040 ca.), fu distrutto dal terremoto del 1456; il capo degli albanesi di Civita e primo signore della città è Giorgio Paleologo Assan, che ottiene il “casale” in concessione dai principi Sanseverino di Bisignano.
1487, re Ferdinando interviene perché il «magnifico Giorgio Paleologo Assan recuperi ciò che gli è stato tolto da certi di Cassano e di Castrovillari, che hanno depredato e tolto mercanzie agli albanesi dimoranti nel suo casale di Civita».
1539, in seguito al matrimonio di Pietro Antonio Sanseverino con Erina Castriota, pronipote di Skanderberg, arrivano a Civita albanesi provenienti dalla Puglia, che fanno raggiungere al borgo il numero di 276 abitanti.
1572, Bernardino Sanseverino vende Civita al barone Campilongo.
1619, Civita passa al barone Francesco Maria d’Urso.
1657, il casale di Civita è integrato nel ducato dei Serra di Cassano.

Al pari di molti altri paesi calabresi che hanno una parte disabitata e fatiscente, anche Civita ha le sue crepature e case collassate; nondimeno, è un borgo fantastico. E’ uno dei 25 comuni arbëreshë della provincia di Cosenza, fondato intorno al 1471 da profughi albanesi rifugiatisi in Calabria per sfuggire all’occupazione turco-ottomana dei Balcani. Protetti da Irene Castriota Skanderbeg, moglie del principe di Bisignano e pronipote dell’eroe nazionale albanese, si stanziarono in queste zone conservando le loro tradizioni come il rito greco-bizantino, officiato ancora oggi nella chiesa di Santa Maria Assunta. Le rughe (i vicoli stretti) tutte in salita si dipartono con andamento circolare verso le piazzette – qualcuna con fontana in pietra dell’Ottocento – che collegano i vari nuclei urbani (gjitonie in albanese). Il quartiere vecchio di Sant’Antonio (Sin Andoni) con le sue casette basse, i suoi segni disfatti, le sue persone anziane sedute davanti alla porta di casa, regala immagini d’altri tempi. Civita è anche un paese di case parlanti, perché alcune piccole abitazioni hanno occhi (le finestre), bocca (la porta) e talvolta naso (la canna del camino). E un paese di comignoli dalle forme minacciose per tenere lontani gli spiriti, realizzati nei secoli passati da mastri muratori. C’è qualcosa di selvaggio, in questo alfabeto di segni che non riusciamo a decifrare, come le rocce antropomorfe della valle del Raganello.

Nel cuore del Parco del Pollino, incastonato tra le rocce per rendersi invisibile alle scorribande dei saraceni, Civita è uno scrigno che custodisce le antiche tradizioni del popolo arbëresh. La vallata in cui sorge è circondata da montagne boscose, dove arrivano i riflessi azzurri del mare Ionio, che s’intravvede all’orizzonte.
Civita è uno degli insediamenti meglio conservati della Calabria interna, caratterizzato da una struttura urbanistica fatta di viuzze e slarghi che si intersecano le une negli altri. Questa struttura – presente nei tre principali rioni, Sant’Antonio (il più antico e più affascinante), piazza e Magazzeno – si chiama in albanese gjitonia, termine d’origine greca traducibile con “vicinato”. La gjitonia ha un significato urbanistico e nello stesso tempo è il nucleo base dell’organizzazione sociale. Rappresenta infatti la porzione più piccola del tessuto urbano, costituita da una piazzetta nella quale confluiscono i vicoli, circondata da edifici: di solito una casa signorile intorno alla quale sono stati sovrapposti altri nuclei minori che occupano l’intero spazio. Qui ci si riunisce a ricamare, a conversare, ci si parla dal galti, il ballatoio davanti alla porta d’ingresso. La gjitonia è dunque una pratica sociale: come lo sheshi, lo slargo più grande che raccoglie la gente della gjitonia nel tempo libero, dove ad esempio s’improvvisano i canti corali tra donne, e che in genere porta il nome della persona che vi abita.
Caratteristici di Civita sono anche i comignoli e le “case parlanti”. I comignoli sono quasi delle opere d’arte. Non si sa con precisione quando sia cominciata l’usanza di innalzare comignoli imponenti e dalle forme capricciose, diversi per ogni casa e secondo l’estro del mastro muratore. Il comignolo era come la firma per una nuova casa, di cui diventava il totem, con la funzione non solo di aspirare il fumo dai camini, ma anche di tenere lontano gli spiriti maligni. Sono una cinquantina i comignoli storici, costruiti probabilmente tra fine Seicento e inizio Novecento.
Passeggiando per il borgo s’incontrano inoltre alcune abitazioni dall’aspetto antropomorfo, le cosiddette «case di Kodra» o «parlanti», una sorta di omaggio al pittore albanese naturalizzato italiano Ibrahim Kodra, di fama internazionale. Si tratta di abitazioni molto piccole, con finestrelle, canna fumaria e comignolo, la cui facciata richiama con evidenza la faccia umana.
La parte più antica del paese è, come dicevamo, il quartiere Sant’Antonio, che ha origini medievali e un tessuto urbano in cui spiccano non solo i comignoli decorati, ma anche forni pensili e logge. Nel centro storico, oltre alla cappella di Sant’Antonio e a quella cinquecentesca di Santa Maria della Consolazione, è da visitare la chiesa di Santa Maria Assunta, costruita in stile barocco nella seconda metà del XVI secolo. L’impianto è orientale: guarda verso il sorgere del sole e reca i simboli e le forme della teologia bizantina. Oggi, infatti, la chiesa ha l’iconostasi (la parete che regge le icone) e l’altare greco. Vi si celebra la liturgia bizantina, perché gli albanesi d’Italia sono cattolici di rito greco. Nella chiesa, quindi, le statue sono sostituite da icone: quelle del Cristo Pantokràtor e della Vergine Odigitria sono state dipinte da Alfonso Caccese, e quelle delle dodici feste dell’anno sono giunte da Atene. Anche l’iconostasi in legno di noce e di ulivo è recente, di trent’anni fa.

Guarda tutti i video sulla pagina ufficiale Youtube de I Borghi più belli d’Italia.

Piaceri e Sapori

La Polisportiva Proloco organizza la discesa del canyon delle gole del Raganello, uno dei canyon più spettacolari d’Italia.
Per informazioni: tel. 333 2904534

Dal borgo scendendo oltre 600 gradini si arriva al Ponte del Diavolo, in un paesaggio rupestre d’intatta bellezza: un canyon con le gole più lunghe d’Italia e una parete rocciosa che sembra un fondale teatrale. l’esile e vertiginoso ponte, che solo il diavolo – dice la leggenda – poteva costruire in una posizione così ardua, conduce alle gole del fiume Raganello, lunghe 13 km e paragonate, in piccolo, al Gran Canyon del Colorado per l’unicità ambientale e le sculture naturali cesellate dal vento. Immersa in un ambiente naturalistico di grande valore, sui primi contrafforti del versante sud-est del Pollino, Civita è circondata da profondi canaloni, orridi e calanchi: un paesaggio selvaggio, molto “greco “, dove i burroni sono ingentiliti dai colori degli oleandri, e dove la macchia mediterranea, stretta tra le rocce, è punteggiata da lecci, querce selvatiche, ulivi e pini che allignano anche tra gli anfratti. Fanno da corona al borgo i monti Raza a nord e Cernostasi a est.

Museo Etnico Arbëreshë:
raccoglie testimonianze di una cultura minoritaria ma viva, quella dell’etnia arbëreshë, legata alla tradizione religiosa greco-bizantina e al mondo contadino. Il museo presenta diverse sezioni interessanti, come quelle sulla cultura materiale con oggetti della vita quotidiana, e sul costume arbëreshë, con splendidi modelli arricchiti di ornamenti in oro.

Museo della Filanda:
azionata dall’acqua del fiume Raganello, la vecchia filanda conserva i macchinari di fabbricazione tedesca della fine dell’Ottocento.

Ecomuseo del Paesaggio della Valle del Raganello:
è ospitato nell’antico palazzo castellano, sede dei primi signori di Civita.

Prigatorët,
due settimane prima di Carnevale: la comunità arbëreshë ricorda i defunti offrendo ai loro parenti e conoscenti grano bollito.

Settimana Santa:
passione, morte e risurrezione di Gesù sono evocati secondo i riti della liturgia greco-bizantina e con i canti chiamati in arbëreshë kalimere.

Vallja,
martedì dopo Pasqua: danza etnica di antiche origini, documentata nella cultura illirica e greca, la vallja si svolge nella piazza e nelle strade del borgo per ricordare la vittoria di Skanderberg sui turchi. Uomini e donne danzano nei loro tradizionali costumi tenendosi per mano e intonando cantilene albanesi.

Danze dei Falò,
primi tre giorni di maggio: antico rito che ricorda la fondazione della città, quando i primi albanesi guidati da Giorgio Paleologo Assan arrivarono nella valle trovandovi solo i ruderi di un antico insediamento; per scaldarsi, accesero per tre sere grossi falò con legno di lentisco, mentre di giorno costruivano le prime abitazioni; intorno ai falò s’intonano canti polifonici chiamati vjershë.

La gastronomia locale è un connubio tra tradizioni arbëreshë e la cucina tipica del Pollino. La sapienza delle massaie unita a materie prime di qualità e alla presenza di erbe aromatiche, sforna piatti ricchi di sapore: pasta fatta in casa condita con sugo di capretto; prosciutto e capocollo; formaggio fresco; gnocchetti con ricotta pecorina; fettuccine con funghi porcini; agnello e capretto alla civitese con accompagnamento di vino del Pollino.

Il costume tradizionale rappresenta per gli italo-albanesi il simbolo di una coscienza etnica collettiva, uno dei legami più forti con il proprio passato. Realizzato in ricchi tessuti di raso e sete naturali dai colori vivaci, ricamati e laminati in oro, guarniti di galloni e merletti, il costume arbëreshë è considerato tra i più belli delle raccolte internazionali per la varietà, gli echi orientali e l’austero fasto bizantino. Un’altra tradizione che resiste è quella dell’artigianato femminile: dalle mani d’oro delle donne escono splendide coperte al telaio, merletti e ricami.

Ristorazione

Civita, Ristorante Kamastra

Ristorante Kamastra

Atmosfera da vecchia locanda di un tempo, per gustare i sapori di ieri. Cucina tipica “arbëreshë” (italo-albanese).

  Piazza Municipio, 3/6
  +39 0981 73387
 www.kamastra.net