Fiufreddo Bruzio
Rovina e rinascita
Comune di fiumefreddo bruzio
(Provincia di Cosenza)
Altitudine
m. 220 s.l.m.
Abitanti
3306 (207 nel borgo)
Patrono
Madonna Immacolata, 8 dicembre
info turismo
Comune, tel. 0982 77003 – tel./fax 0982 77176
Centro Documentazione Museale, Largo Torretta 3
Pro Loco, tel. 0982 77390 – 340 8069635
www.comunedifiumefreddobruzio.it
comunfiumefreddo@tiscali.it
Il nome
Fiumefreddo prende nome da Flumen frigidum, cioè dal fiume di acqua potabile – chiamato anticamente frigidum, freddo, per le sue fresche acque – che sgorga dalla roccia a pochi km dal mare. L’appellativo Bruzio denota il territorio ed è stato aggiunto nel 1860 per distinguerlo da paesi omonimi.
La storia
IX-X sec., i Saraceni devastano quella che era probabilmente una colonia romana (tracce archeologiche sulla collina detta Cutura). Il luogo è nel dominio dei Longobardi (prima di Benevento, poi di Salerno) e confina a sud con le terre in potere dei Bizantini. Il nucleo abitato si ricostituisce intorno al Mille.
1054, i Normanni occupano la regione e il loro condottiero Roberto il Guiscardo costruisce una torre di difesa a Fiumefreddo, in virtù dei suoi strapiombi naturali.
1201, Simone de Mamistra, governatore della Calabria e barone in epoca sveva, trasforma la torre normanna in castello fortificato e dona il cenobio basiliano di Valle Cent’Acque a Gioacchino da Fiore, monaco ed esegeta, fondatore dell’Ordine detto florense.
XIII-XV sec., il feudo di Fiumefreddo passa di barone in barone, prima sotto gli Angioini e poi sotto gli Aragonesi.
1528, l’imperatore Carlo V assegna la baronia al capitano Pietro Gonzales de Mendoza, per le vittorie riportate in Calabria contro l’esercito francese. Sposando l’unica figlia di Fernando de Alarcon, uno dei più celebri generali spagnoli nelle guerre d’Italia, il capitano de Mendoza si lega a un potente casato.
A lui si devono la ricostruzione del castello e il consolidamento delle mura di cinta.
1638, un catastrofico terremoto colpisce il borgo.
1807, il presidio borbonico rintanato nel castello, è costretto alla resa dalle truppe napoleoniche. L’anno dopo l’ultima erede degli Alarcon y de Mendoza, Beatrice, vende i beni di Fiumefreddo, compreso il castello diroccato dall’artiglieria francese.
Cosa ci fa un’odalisca nuda nelle stanze slabbrate del castello?
E’ un segno di vita, lasciato dal pennello di Salvatore Fiume, che colora di ottimismo il cumulo di rovine del 1807. E se una certa indolenza borbonica ha continuato a dominare, accompagnando il lento degrado di palazzi e chiese, oggi Fiumefreddo gioca le carte della rinascita dall’alto dei belvedere marini e delle piazze incantevoli, là dove il verde delle colline si salda con il respiro del Tirreno. Nel brulichio stellare di certe sere d’estate, come nelle luminose mattine invernali, il borgo sembra trovare dentro di sé la pace perduta di una costa troppo sfruttata, che chiede ai suoi gioielli di pietra di resistere.
Aspettando il completo recupero del centro storico, che già lascia intravedere segnali positivi, come la rimozione delle saracinesche e degli elementi di degrado dalle facciate storiche, e dei parcheggi davanti alle piazze, Fiumefreddo ha l’aria della Calabria che vuole riscattarsi e guardare avanti. L’ingresso al centro storico, da oriente, è la Porta merlata che si apre su piazza del Popolo, dove già s’intravedono i vicoli ciottolati in pietra viva, e i cui contorni sono segnati da tre monumenti. La chiesa Matrice di San Michele Arcangelo, edificata nel 1540 e rimaneggiata nei secoli, si presenta con l’aspetto posteriore al terremoto del 1638 e conserva pregevoli tele di Francesco Solimena (1657 -1747) e Giuseppe Pascaletti (1699 – 1757), buon artista locale, autore anche della pala d’altare. Sulla piazza, si affacciano a destra il palazzo del Barone Del Bianco e a sinistra il palazzo Gaudiosi. Proseguendo per via Risorgimento si arriva, passando davanti a palazzo Zupi, dotato di splendido portale, ai ruderi del castello, costruito nella parte alta del borgo sugli strapiombi del vallone.
A ridurlo in rovina furono le truppe napoleoniche che nel 1807 vi assediarono i partigiani dei Borboni. Una delle sale è decorata dagli affreschi di Salvatore Fiume, purtroppo minacciati dalle intemperie. Da Largo castello ci si dirige verso piazza Vittorio Veneto, il punto focale della vita cittadina, dove fa bella mostra di sé palazzo Pignatelli, di fattura cinquecentesca e dimora di diversi feudatari. Andando verso Largo Torretta s’incontra la chiesa dell’Addolorata, di antichissima origine (XI sec.) ma di aspetto barocco, con pregiati lavori di stuccatori calabri all’interno. Uscendo dalla chiesa, dirigendosi a sinistra si raggiunge Largo Santa Domenica con i ruderi dell’omonima chiesa e una bella vista a mare, mentre prendendo la destra ci s’incammina verso il seicentesco palazzo Mazzarone e, subito dopo, la chiesa di San Francesco di Paola, costruita nel 1709 con uno splendido portale barocco. L’attiguo convento dei frati Minimi è oggi sede del Comune. Di fronte, sulla Torretta, si ammira la scultura di Salvatore Fiume slanciata verso il mare che segna d’azzurro l’orizzonte.
Si torna quindi alla chiesa di San Francesco per andare a vedere, poco oltre, in Largo Pascaletti, la chiesa di Santa Chiara, datata 1552. Qui era collocata la pala d’altare del Solimena che oggi si trova nella chiesa Matrice.
Ci si dirige poi verso la Rupe dove sorge la chiesa di San Rocco del XVIII sec., costruita a pianta esagonale sulla cinta muraria e nei pressi della Porta di mare.
Gli affreschi dell’interno sono di Salvatore Fiume (1980) e rappresentano San Rocco che salva il popolo colpito dalla peste. Salendo da Largo San Rocco per via Porta di Mare, si giunge a Largo dei Follari, antica sede di filande, dove si trova palazzo Santanna. Proseguendo per via Manzoni, si incontrano sulla sinistra palazzo Pitellia, con cortile interno di scuola romana del XVIII sec., e più avanti, sulla destra, palazzo Castiglione-Morelli del sec. XVI. Prendiamo un vicoletto, ed eccoci di nuovo in piazza del Popolo. Resta da vedere, in una cornice di verde in località Badia, la chiesa di Santa Maria di Fonte Laurato, eretta dai monaci basiliani, distrutta nel 1201, ricostruita da Simone de Mamistra e affidata all’abate Gioacchino da Fiore, morto nel 1202 in odore di santità e citato nella Commedia di Dante come “di spirito profetico dotato”. Il campanile, in stile cistercense, ha una campana del 1510 e l’altra d’inizio settecento.
Trekking ed escursioni sul Monte Cocuzzo (1540 m).
Alle spalle del borgo, i rilievi della catena costiera offrono diversi spunti per le escursioni, come la Grotta dell’Eremita in cima allo sperone della Timpa Badia, dove trovarono rifugio gli asceti in epoca bizantina, e la zona selvaggia della Bocca d’Inferno. Storia e natura, infine, si incontrano al Fiume di Mare che scorre tra i monti prima di precipitare, creando cascatelle, in una stretta e profonda gola, nei pressi dell’abbazia di Fonte Laurato.
Centro Documentazione Museale,
largo Torretta 3.
Santissima Annunziata,
25 marzo.
Santa Rita,
22 maggio.
Beata Vergine del Carmelo,
ultima domenica di luglio.
Festa dell’Emigrante,
primo sabato di agosto.
Sagra del bucatino al sugo d’agnello,
agosto.
Spettacoli nel Centro Storico,
durante l’intero periodo estivo.
Santa Maria Assunta,
15 agosto: la festa culmina con la distribuzione della “filiciata”, il caratteristico fior di latte posto sulle felci.
San Rocco,
16 agosto.
Immacolata Concezione,
8 dicembre: si digiuna la vigilia per il voto fatto l’indomani del terremoto del 1638 e confermato dopo quello del 1767.
La filiciata è uno squisito piatto a base di formaggio fresco su foglie di felce. Altro piatto tipico è la frittata di patate, da accompagnare con vino rosso. Tra i dolci, i cuddruri con uova, zucchero, cannella e anice.
Dai pascoli sui crinali appenninici si ricavano ottimi formaggi lavorati con i metodi tradizionali. Sulle colline in dolce declivio verso il mare, prosperano l’ulivo e la vite.