San Benedetto Po
Un monastero sul fiume
Comune di S. Benedetto Po
(Provincia di Mantova)
Altitudine
m. 18 s.l.m.
Abitanti
6700 (39 nel borgo)
Patrono
San Benedetto, 11 luglio
info turismo
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Il nome
L’antico nome del luogo era San Benedetto in Polirone, legato al monastero benedettino fondato nel 1007 da Tedaldo di Canossa sull’isola che sorgeva tra il Po e il Lirone, un ramo del grande fiume oggi scomparso.
La storia
1007, Tedaldo di Canossa, nonno della contessa Matilde, fonda il monastero di Polirone nel luogo acquistato nel 961 dal padre di Tedaldo, Adalberto, per crearvi dei possedimenti fortificati, ai quali un monastero nei pressi avrebbe garantito sicurezza e fedeltà.
1077, Matilde di Canossa dona l’abbazia a Gregorio VII: il papa la unisce al monastero di Cluny in Borgogna, dando a quest’ultimo il potere di nominare l’abate di Polirone; il cenobio mantovano aumenta l’attività di miniatura, costruisce chiese e chiostri, acquista terre, diventando una sorta di Cluny dell’Italia settentrionale.
1420, grazie all’abate Guido Gonzaga il monastero entra nella congregazione benedettina di Santa Giustina di Padova rinnovandosi nell’edilizia, nell’economia, nella cultura e assumendo la struttura che conserva ancora oggi; i monaci intraprendono riforme agrarie e opere di bonifica, ma obbligano i coloni a consegnare loro un terzo del raccolto.
XVI sec., nonostante i contrasti con i contadini, l’abbazia diviene un attivo centro intellettuale, promuovendo non solo gli studi teologici ma anche la cultura artistica: i monaci commissionano lavori al Correggio e a Giulio Romano, e ospitano personalità illustri quali Martin Lutero, Paolo III, Giorgio Vasari, Torquato Tasso e Palladio.
1609, una rovinosa inondazione del Po provoca danni ingenti al monastero, cui si sommano, vent’anni dopo, quelli provocati dagli eserciti stranieri di passaggio: durante l’assalto al ducato di Mantova, le truppe imperiali rimangono nell’abbazia due anni, sostituite poi dai francesi che continuano a impoverirla; durante la peste del 1630, i monaci sono costretti, per arginare la crisi, a vendere il corpo di Matilde di Canossa e una parte della prestigiosa biblioteca.
XVIII sec., il governo illuminato di Maria Teresa d’Austria porta a una modesta ripresa economica venendo incontro alle esigenze dei contadini, mentre l’ultimo abate Mauro Mauri promuove una serie di interventi importanti per evitare la soppressione del monastero, che si avrà comunque, nel 1797, con l’arrivo delle truppe napoleoniche; il patrimonio artistico si disperde, ad eccezione di quello della chiesa abbaziale e dei preziosi manoscritti confluiti nella biblioteca di Mantova.
Spalanca le braccia al visitatore, l’immensa piazza di San Benedetto Po intitolata all’inventore del latino maccheronico. La koinè padana, quel linguaggio comune che mescola alto e basso, raffinato e volgare, nelle zone matildiche mantovane trova compiuta espressione nel monastero di Polirone, dove i tesori artistici della chiesa abbaziale scontano l’ira e lo sbeffeggio dei contadini, obbligati a contribuire al sostentamento dei monaci. D’altra parte, se qui si è creata l’agricoltura più importante d’Italia, è stato grazie all’opera laboriosa dei monaci che hanno bonificato e coltivato il territorio consentendo produzioni d’eccellenza. Gli si può perdonare, allora, di aver pranzato in un refettorio affrescato dal Correggio. O pregato nella chiesa restaurata da Giulio Romano.
Usciti dal monastero, sentiamo subito la vicinanza del grande fiume, che scorre lento e possente, e ancora navigabile. La contaminazione di reale e fantastico è nelle fibre della gente del Po. In questa periferia del nulla, come qualcuno vorrebbe chiamarla, abbiamo la sorpresa di trovare paesaggi che ci stringono il cuore: il parco delle golene, le idrovore, gli argini del Po, le file di pioppi, le chiesette in mattoni acquattate dietro l’argine.
È un paesaggio, quello di San Benedetto Po, in cui i rumori della vita produttiva si perdono nei silenzi della campagna, costellata di oratori, ville abbaziali, pievi matildiche, caseifici e corti agricole, dove la preziosa opera di bonifica dei monaci è ancora visibile nelle idrovore monumentali e storiche.
Si entra in San Benedetto dall’ingresso del monastero, che conserva i cardini dell’antico portale, e ci si trova nella maestosa piazza, rimasta intatta nelle dimensioni che aveva nel medioevo. La basilica abbaziale ci accoglie con la sua imponenza e la meravigliosa architettura che disegnò il genio di Giulio Romano, tra il 1540 e il 1545, riedificando – senza demolirle – le vecchie strutture romaniche e gotiche, e adottando soluzioni originali per far convivere i diversi stili architettonici in un insieme raffinato e omogeneo. Romanici sono, infatti, il deambulatorio e le colonne murate nel presbiterio, mentre gotici sono il tiburio e le volte. Le 32 statue di santi che arredano le navate e ornano gli ingressi delle cappelle laterali sono opera (1542-59) di Antonio Begarelli, artista modenese definito dal Vasari “il Michelangelo della terracotta”. La sacrestia è arredata con gli armadi intagliati da Giovanni Maria Piantavigna (1561-63). Nell’ambiente tra il transetto e la sagrestia si trova la tomba di Matilde di Canossa, un sarcofago in alabastro sorretto da quattro leoncini di marmo rosso. Il corpo di Matilde riposa dal 1633 nella basilica di San Pietro a Roma.
Antecedente alla morte della contessa è l’oratorio di Santa Maria (fine XI – metà XII secolo), che è stato poi essere adattato alla chiesa maggiore nel momento della sua riedificazione (1130), secondo lo schema dell’oratorio di Santa Maria di Cluny. Si pensa che qui sia stata originariamente sepolta la contessa Matilde, in un’urna interrata di fronte all’altare, in corrispondenza del mosaico con le quattro Virtù Cardinali. La visita al complesso monastico prosegue nel chiostro dei Secolari, il luogo dove venivano accolti i pellegrini, gli ospiti e i forestieri, caratterizzato da tre fasi costruttive: una anteriore al XV secolo, un’altra databile 1475 e infine quella del 1674, epoca di costruzione del scenografico scalone realizzato da Giovan Battista Barberini. Il piano terra dei lati est e sud era destinato a foresteria di poveri e pellegrini, il piano superiore agli ospiti di riguardo. Salendo lo scalone secentesco, si accede al Museo Civico Polironiano.
Un luogo di sicura suggestione è il chiostro di San Simeone in stile tardogotico, databile tra il 1458 e il 1480, dove si trovava il giardino dei semplici con le erbe medicinali per curare i malati. Della stessa epoca sono gli affreschi con le Storie di San Simeone nelle lunette del chiostro, attribuibili a pittori forse di scuola fiamminga. Sul chiostro si affaccia la sala del Capitolo, vero e proprio centro direttivo del cenobio. I lavori di restauro, oltre a riportare alla luce otto sepolcri cinquecenteschi di abati, hanno rinvenuto tracce della sala romanica che costituiva il nucleo più antico del monastero, edificato insieme alla prima chiesa. Scavi recenti hanno messo in luce fondazioni di età romana e resti di muri di età tardo-antica, segno dell’esistenza, a quel tempo, di un nucleo abitato e di una prima presenza benedettina.
Il terzo chiostro, dedicato a San Benedetto e adiacente a un fianco della basilica, fu ricostruito intorno al 1450 nell’ambito del rinnovamento architettonico di Polirone sostenuto da Guido Gonzaga. Il lato meridionale fu assorbito nella basilica da Giulio Romano per edificare le cappelle di sinistra.
Su piazza Matilde di Canossa si affaccia anche il refettorio monastico, costruito nel 1478: un salone diviso in quattro campate, coperte poi da volte a crociera. Nel 1510 Gregorio Cortese, umanista e giurista di Modena, chiamò a decorare la parete ovest due artisti: il veronese Girolamo Bonsignori che dipinse l’Ultima Cena su una tela incastrata sul muro (oggi conservata nel Museo Civico di Badia Polesine) e il giovane Correggio, che tra il 1513 e il 1514 affrescò l’architettura dipinta che doveva incorniciare il Cenacolo. In posizione perpendicolare rispetto al Refettorio si trova l’Infermeria nuova risalente ai primi del Cinquecento nel piano inferiore, ma terminata solo nel Settecento al piano superiore, col grande corridoio rococò e gli appartamenti laterali. Qui nel 1584 fu sistemata l’infermeria che fino a quel momento occupava il lato est del chiostro di San Simeone. Nella penultima stanza sul lato est si notano frammenti di affreschi di epoca diversa, per la sovrapposizione dello strato settecentesco a quello cinquecentesco.
“A due passi dalla chiesa abbaziale, si trova il campanile di San Floriano, appartenente all’antica chiesa parrocchiale, ora demolita. Fino alla soppressione del monastero, San Floriano era la chiesa per il popolo, mentre la basilica, collocata all’interno della cittadella monastica, era ad uso esclusivo dei monaci. Recentemente restaurato e reso accessibile ai visitatori, il campanile è un prezioso gioiello romanico che permette al turista di salire ad un’altezza di circa 36 metri e ammirare il borgo di San Benedetto Po e la natura circostante da un inedito e suggestivo punto di vista.
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A chi s’incanta davanti a un cielo stellato, è riservato l’Osservatorio astronomico (tel. 0376 615409) in frazione Gorgo, con terrazza per osservazioni e telescopio computerizzato per il puntamento automatico degli oggetti celesti. L’ambiente intorno al borgo si presta per il cicloturismo e la pesca al siluro, il pesce onnivoro meno amato da queste parti.
Museo Civico Polironiano: con oltre 10mila oggetti, è uno dei maggiori musei etnografici d’Italia. Le sue collezioni riguardano i mestieri legati al fiume Po, l’artigianato, l’arte e la devozione popolare.
Da vedere le preziose raccolte di burattini e marionette, e le scenografie originali dipinte dei fondi Besutti- Zaffardi. Il museo ospita inoltre opere dell’artista Antonio Ruggero Giorgi e di altri artisti contemporanei locali, e una collezione storico archeologica di grande interesse: statue, lapidi, bassorilievi, mosaici, ceramiche, dall’età romana alla fine del Rinascimento, provenienti dagli scavi archeologici.
Il Comune di San Benedetto Po, grazie alla collaborazione delle Associazioni del territorio, organizza annualmente numerosi eventi e manifestazioni, in particolare:
– Amarcord, mercatino delle cose di un tempo, antiquariato, collezionismo ed oggettistica ogni prima domenica del mese;
– Lambrusco a Palazzo, terzo fine settimana di aprile;
– San Benedetto in Fiore, prima domenica di maggio;
– la tradizionale Sagra dell’Asparago il secondo fine settimana di maggio;
– La Fiuma, festival di teatro di figura l’ultimo fine settimana di maggio;
– la Notte Romantica dei Borghi più Belli d’Italia il sabato seguente il solstizio d’estate;
– The Sportweek la terza settimana di luglio;
– l’antica Fiera d’Agosto il primo fine settimana d’agosto;
– la tradizionale Sagra del Nedar (Anatra) il primo fine settimana d’ottobre;
– Mercatini di Natale le domeniche di dicembre.
Anche le frazioni di San Benedetto Po sono animate annualmente dalle sagre di paese:
– Sagra di Mirasole a giugno;
– Sagra di Portiolo a luglio;
– Festa dei due Campanili ad agosto;
– Sagra di San Siro a dicembre.
Tra quelle che Merlin Cocai chiamava “doctrinae cosinandi”, e noi ricette, segnaliamo i piatti forti della tradizione mantovana, come i tortelli di zucca e gli agnoli in brodo. Buoni gli insaccati, accompagnati da mostarde e parmigiano reggiano. Tipico del borgo il salame cotto sotto la cenere, che si può gustare nei ristoranti su ordinazione.
Vanto delle pasticcerie e dei panifici di San Benedetto è la torta di tagliatelle. Ottimi il vino lambrusco mantovano, il parmigiano reggiano e i salumi. Senza dimenticare gli asparagi, coltivati in zona fin dal tempo dei monaci benedettini.