Aieta

municipality of aieta
(Cosenza District)
Altitude
m. 524 a.s.l.
POPULATION
850

Patron saint
San Vito, June 15th
TOURIST INFORMATION
Town Hall, piazza Monsignor Lomonaco, 11
Ph. 0985 71016 – www.comune.aieta.cs.it

Il nome

Il toponimo di origine greca deriva probabilmente da aetòs, «aquila», per la posizione del borgo alle pendici dei monti.

 

La storia

VI-III sec. a.C., l’insediamento enotrio di Aieta Vetere domina la valle dall’alto del Monte Calimaro (dal greco kalòs «bello» e émeron «giorno»).
II-I sec. a.C., in epoca romana Aieta Vetere è compresa nel territorio della cittadina lucana di Blanda, divenuta poi colonia col nome di Blanda Julia, situata fra le attuali Praia a Mare e Tortora.
III-IV sec. d.C., il cristianesimo delle origini è documentato da una lapide che ricorda il vescovo Giuliano di Blanda, un tempo custodita nel monastero di Aieta.
VIII sec., alcune contrade di Aieta, come Sant’Elia, San Marco e San Giovanni, testimoniano la presenza di monaci basiliani, giunti in Calabria dal Mediterraneo orientale per fondarvi i loro cenobi, piccoli monasteri di rito greco.
IX-X sec., le scorrerie dei pirati saraceni spingono gli abitanti di Blanda a rifugiarsi verso l’interno, dando origine al paese di Tortora e ai rioni Julitta, San Basile e Cantogrande dell’attuale Aieta; anche la popolazione dell’insediamento originario di Aieta Vetere si trasferisce nel nuovo sito.
XI sec., dalla conquista normanna la feudalità arriva fino all’Ottocento, passando attraverso le dominazioni angioina e aragonese; le famiglie feudatarie sono gli Scullando, i De Montibus, i Loria, i Martirano, i Cosentino e gli Spinelli.
1563, fallisce il tentativo degli abitanti, guidati da Silvio Curatolo, di liberarsi delle servitù baronali; in questo periodo, nella marina di Aieta – l’attuale Praia a Mare – si comincia a coltivare il cannamèli, la canna da zucchero, che resterà a lungo un’importante risorsa per la zona.
1848, nasce un comitato antiborbonico; nel 1859 il borgo raggiunge i 3.600 abitanti, ma tra il 1870 e il 1899 ne perde 2.239 per l’emigrazione.

Aieta ha origine medievale. Le sue stradine strette e in dislivello riportano agli anni intorno al Mille, quando in queste contrade giunsero gli abitanti della cittadina magnogreca, lucana e poi romana, di Blanda Julia, abbandonata perché esposta alle scorrerie dei corsari saraceni. Il borgo, le cui note di colore dominanti sono il bianco delle facciate e il rosso dei tetti, si stringe intorno al suo edificio più prezioso, il palazzo eretto nel XVI secolo dai Martirano, ampliato dai marchesi Cosentino e poi venduto agli Spinelli di Scalea, uno dei pochi esempi dello stile rinascimentale applicato all’edilizia civile in Calabria. E’ disposto su tre piani: il pianterreno, dove c’erano il corpo di guardia, la cappella, l’ufficio del marchese, le sale di ricevimento e di musica, le cucine e la dispensa; il primo piano con le camere da letto; i sotterranei con le cantine, le cisterne dell’acqua e la prigione. Il palazzo ha una pianta a U e un loggiato che si apre lungo la cortina muraria della facciata, con cinque archi che poggiano su colonne tuscaniche addossate a pilastri, in pietra locale grigia. Recentemente sono state restaurate vaste porzioni di affreschi. Dichiarato monumento nazionale nel 1913, il palazzo è oggi di proprietà comunale.
Tra gli edifici religiosi, spicca la chiesa madre, dedicata a Santa Maria della Visitazione, realizzata nel XVI secolo su impianto di età normanna. Poiché il centro storico era costituito a quel tempo dai rioni Cantogrande e Julitta, la chiesa è citata nei documenti dal 1530 come Santa Maria de fora, fuori cioè dal centro abitato. Impreziosisce l’ingresso il portale in pietra, fiancheggiato da pilastri decorati a volute, realizzato dallo scalpellino Gerardo Rea nel 1756, come riporta il medaglione sovrastante. L’interno, a croce latina con tre navate, è ricco di affreschi e dipinti su tavola. Destano interesse il prospetto di custodia eucaristica in marmo del 1511, trasformato in pala d’altare durante i lavori di rifacimento tardo secenteschi dell’edificio; un crocefisso in legno di artigianato meridionale; l’icona della Madre di Consolazione, rara nel suo genere, proveniente dall’antica chiesa di San Nicola e forse riconducibile ai prototipi d’inizio Cinquecento di Nicolaos Tzafuris, cretese di Candia; la croce d’argento con fusto a tralcio di vite della seconda metà del Cinquecento; la Madonna del Carmine di Dick Hendricksz (1544-1618), artista fiammingo che ebbe grande influenza sulla cultura pittorica dell’Italia meridionale; le due pale d’altare di Fabrizio Santafede, pittore napoletano a cavallo tra tardo manierismo e primo barocco, con la grande Visitazione collocata nell’abside nel 1576. Notevole anche l’organo Bossi-Prezioso di scuola napoletana, consegnato alla chiesa il 19 agosto 1673, restaurato nel 1995 per restituirgli la sua antica voce. Del convento dei Padri Minori Osservanti di San Francesco d’Assisi (1520) abbattuto intorno al 1950, resta solo la chiesa di San Francesco, oggetto di un recente recupero. A 800 metri dal centro storico, nella cappella di San Vito Martire (XVII secolo), con portale ad arco e portico di ingresso, è conservata la statua lignea settecentesca del patrono di Aieta. Altre cappelle da visitare sono quella di San Giuseppe in piazzale palazzo, con portale in pietra sormontato dallo stemma nobiliare dei Cosentino, quella di San Biagio per i suoi affreschi rinascimentali, di Santa Maria della Purità, dell’Addolorata al Ponte (XVIII secolo) e infine quella, ridotta a rudere, di San Nicola in Cantongrande, risalente all’XI secolo e fino al XVI di rito greco. Magnifici portali in pietra, lavorati da scalpellini locali tra Sette e Ottocento, sono disseminati tra le viuzze del centro storico: ricordiamo quelli di via Cantongrande ai numeri civici 5 e 6 (rispettivamente del 1767 e del 1860, come da incisione sulla chiave di volta), 39 e 41, in via Socastro ai numeri 5, 6, 46 e 86, e nelle vie Giugni Lomonaco, Notar Lomonaco, Vico dei Nobili. Attraversato un ponte medievale, si arriva infine ai resti di antichi mulini ad acqua.

Tra mare e montagna, questo borgo dell’Alto Tirreno cosentino sorprende per il tocco rinascimentale che in terra di Calabria è raro. Glielo dà il suo palazzo nobiliare, accerchiato da stretti vicoli dove si fanno ammirare i portali in pietra scolpiti da maestranze locali. Posto sotto le rocce dove nidificava l’aquila, che nel nome e nello stemma evoca radici greche, rinnovate nei riti bizantini della distrutta chiesa di San Nicola, Aieta è villaggio dalla vista lunga. A breve distanza dal turismo mordi e fuggi di Praia a Mare, che un tempo era la sua marina, il borgo guarda in alto, alla montagna dove corrono i lupi, al verde abbraccio del Pollino. Da Aieta lo sguardo spazia dalla dolcezza mediterranea del golfo di Policastro ai rudi contrafforti dell’Appennino, in un bel gioco di contrasti. I tetti rossi, l’alito dei boschi e quel loggiato in odor di Toscana che sgrezza la pietra grigia del palazzo rinascimentale, con l’invito ad affacciarsi come da un balcone sul mare: questo è Aieta, borgo magico all’imbrunire, quando assomiglia a un presepe.

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