Pomponesco
Una piccola contea dietro l’argine
Comune di Pomponesco
(Provincia di Mantova)
Altitudine
m. 23 s.l.m.
Abitanti
1706 (800 nel borgo)
Patrono
Santa Felicita e i Sette Martiri, seconda domenica di luglio
info turismo
Comune, Piazza XXIII Aprile 11, Tel. 0375 86021
Pro Loco, tel. 335 8229454
www.comune.pomponesco.mn.it
Il nome
Deriva dalla centuriazione romana: un’iscrizione del II secolo d.C. giunta sino a noi consente di risalire alla famiglia Pompea che qui aveva dimora e che è all’origine del toponimo.
La storia
II sec. d.C., i Romani si stabiliscono nelle zone padane già abitate da Etruschi e Galli, come attesta l’iscrizione di un sarcofago eretto dalla nobile famiglia Pompea alla figlia diciannovenne, ritrovato nel XVI sec. a Pomponesco e custodito a Mantova in palazzo Ducale.
1000 ca., il territorio appartiene ai monaci benedettini di Leno (Brescia); nel 1077 è registrato in possesso della famiglia d’Este di Ferrara, mentre un documento del 1145 lo assegna al vescovo di Cremona.
1280, a seguito di un’inondazione rovinosa si costruisce l’argine “di dietro” del Po.
1339, le terre di Pomponesco e dei Comuni limitrofi passano in proprietà ai Gonzaga, signori di Mantova.
1478, alla morte di Ludovico II Gonzaga, queste stesse terre, come quelle di oltre Oglio, diventano appannaggio del ramo cadetto dei Gonzaga di Gazzuolo e Bozzolo; il luogo è abitato da agricoltori, cordai, conciatori.
1579, il marchese Giulio Cesare Gonzaga, uomo del Rinascimento come il brillante cugino Vespasiano, signore di Sabbioneta, vuole costruire qui la sua “città ideale”, e Pomponesco diventa oggetto di un riordino urbanistico che ne cambia la fisionomia; il principe dimora nel castello esagonale, intorno al quale si sviluppa l’architettura squadrata tipica dei borghi gonzagheschi; nel 1580 Pomponesco è eretta a contea per i meriti acquisiti da Giulio Cesare Gonzaga presso l’imperatore Rodolfo II, e inizia a batter moneta con la sua zecca; nel 1593, Giulio Cesare trasferisce la sua corte a Bozzolo avviando il declino di Pomponesco, accelerato dalla crisi della navigazione sul Po.
1707, con la fine della dominazione gonzaghesca, decade anche la contea di Pomponesco, il cui territorio passa sotto il dominio austriaco; dalla fine del XVIII sec. il commercio delle granaglie e del bestiame e il traffico fluviale attirano a Pomponesco famiglie ebree, come quella dello scrittore Alberto Cantoni (1841-1904).
1818, con i mattoni del distrutto castello viene fortificato l’argine del Po.
C’è solo una piazza e nient’altro: una piazza amata da grandi registi come Cesare Zavattini, Mario Soldati, Bernardo Bertolucci, che ne hanno colto la suggestione scenica. Una piazza «gonzaghesca, simmetrica, teatrale» che riassume in sé l’immaginario padano, ed è cinema e teatro che si fa carne: non solo per il profumo di stracotto dei vicini ristoranti, ma perché termina nella via del Peccato, oltre la quale l’argine maestro del Po nasconde alla vista l’amore in mezzo ai boschi di salici della golena. E perché qui scorre il fiume, che ha un suo porticciolo e un casotto dove i vecchi barcaioli si ritrovano a far merenda e a discutere, e per questo è chiamato “Montecitorio”.
Pomponesco è anche il breve tratto di strada che percorrevano insieme lo scrittore Alberto Cantoni e il pittore Gerolamo Trenti, dal palazzo dell’uno alla dimora di campagna dell’altro; sono i giacimenti culturali dell’ebraismo ormai confinati al piccolo cimitero; è il Teatro sociale d’inizio Novecento. Nelle ovattate nebbie invernali, questa piazza sembra un miraggio sorto nella palude del Po e nelle sue terramare, dal sogno di un principe Gonzaga che qui ha creato la sua piccola contea. Nell’ipnotica calma della pianura, i pioppeti in file regolari annunciano il fiume, vicinissimo all’argine che incornicia il paese e la golena.
Stradine e canali a squadro, la riserva naturale della Garzaia, l’argine maestro, ed ecco Pomponesco, un paese di prospettive visuali che rimbalzano dal fiume alla piazza, dai filari di alberi ai portici, dalle siepi ai muri. La planimetria ortogonale delle vie rispecchia l’intervento urbanistico programmato da Giulio Cesare Gonzaga sul finire del XVI secolo: l’impianto prevedeva un’espansione dall’area del castello lungo due direttrici perpendicolari, con quattro borghi simmetrici ancora oggi leggibili, avendo mantenuto i loro volumi nonostante manomissioni varie. Le corti chiuse agli angoli di tale perimetro dimostrano la rilevante attività agricola del territorio.
La distruzione del castello gonzaghesco, ad opera dei Francesi a fine Settecento, ha lasciato vuota la piazza, delimitata a nord dalle scuderie, gli unici edifici sopravvissuti dell’antica struttura. La piazza XXIII Aprile è rimasta sostanzialmente inalterata dal Seicento: è interamente circondata da costruzioni con portici, un tempo abitate dai cortigiani e dalle loro famiglie, e si restringe in una piazzetta che indirizza la prospettiva verso la scalinata dell’argine e il fiume. Gli edifici della piazza e della piazzetta sono quasi tutti del periodo 1590-1630, e molti conservano grandi stanze con soffitti in legno; gli affreschi si sono mantenuti soltanto in una casa signorile oggi adibita ad albergo, intatta da allora.
Sulla piazza si fronteggiano con le loro torri campanarie il palazzo comunale e la chiesa arcipretale di Santa Felicita e dei Sette Fratelli Martiri. Quest’ultima esiste dal 1339, ma l’assetto odierno si deve a restauri dell’architetto Giovan Battista Vergani nel 1829 e 1831. E’ del 1921 la facciata posticcia in cemento martellinato e grandi archi: in origine la parte superiore della facciata era arretrata rispetto agli altri edifici e il vestibolo era allineato ai portici della piazza. L’interno della chiesa è a tre navate a tutto sesto con soffitti a cassettoni e transetto. Dall’argine è possibile vedere la struttura originale della facciata: da lì, purtroppo, si nota anche la ciminiera fumante di una fabbrica. Sembra un’immagine del celebre fotografo reggiano Luigi Ghirri, quella della ciminiera che incombe sulla piazza secentesca. L’amministrazione si è impegnata a schermare la ciminiera con un’alta alberatura.
La visita a palazzo Cantoni, appartenuto a una delle più importanti famiglie israelite del paese, si prolunga al piccolo cimitero ebraico dove riposa lo scrittore Alberto Cantoni (1841-1904) la cui originalità fu messa in luce da Benedetto Croce, Luigi Pirandello e Riccardo Bacchelli. Cantoni era legato al paese natale come il suo amico pittore Gerolamo Trenti (1824-98), uno tra i più noti esponenti del paesaggismo lombardo dell’Ottocento.
Abbandonato lo studio di Milano, Trenti si ritirò a Pomponesco dove trascorse gli ultimi vent’anni di vita dipingendo nella villa di campagna ancora esistente.
Da vedere, infine, il teatro 1900, un teatrino di paese come ne esistevano molti in questa pianura un secolo fa, e, nella frazione di Correggioverde, la parrocchiale di Santa Maria Assunta, costruita nel 1750 dall’architetto Pietro Antonio Maggi. Tutt’intorno, i fienili, le aie, i fabbricati rurali in abbandono, i portoni, i cancelli, ricordano la grande civiltà agricola ormai perduta.
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La ciclovia del Po, in particolare l’itinerario 3 che si sviluppa lungo la sponda sinistra del Po verso la confluenza con l’Oglio, consente di pedalare tranquilli su strade arginali chiuse al traffico, tra filari di pioppi e voli di candide garzette, immersi nel maestoso silenzio del fiume che scorre accanto. Si attraversa un paesaggio agricolo di piccoli borghi, dove facilmente si trova ristoro.
Zona di nidificazione del gufo e di altri uccelli quali la garzetta, il cavaliere d’Italia e la pettegola, la Riserva naturale della Garzaia si estende per 96 ettari su terreni golenali della sponda sinistra del Po fitti di salici bianchi e pioppi pino. A separare l’abitato di Pomponesco dall’area protetta, è l’argine golenale sul quale corre una strada elevata di quattro metri rispetto al piano campagna. Da questa strada si raggiunge direttamente la riserva che, grazie all’attracco fluviale in prossimità della lanca, è visitabile anche da chi arriva dal fiume. La lanca conserva l’acqua nei pochi giorni all’anno in cui avvengono le esondazioni del Po; nei restanti periodi è invasa da vegetazione e arbusti tipici delle zone umide.
Via Crucis Vivente, venerdì di Pasqua.
Fiera di Santa Felicita, seconda domenica di luglio.
Festa del Luadèl, metà agosto: celebra il prodotto locale, una sorta di pane a pasta sfoglia con strutto.
Festa Rinascimentale, inizio settembre. Festa contadina del Ringraziamento, seconda domenica di novembre.
Scelta molto difficile tra i cappelletti in brodo, con il particolare ripieno a base di stracotto di carne bovina, e i tortelli di zucca alla mantovana con mostarda di mele cotogne e amaretti. Tipici anche i maltagliati con fagioli e brodo di verdure.
In dialetto la specialità locale si chiama luadèl. Chi frequenta il Mantovano sa cos’è la schiacciatina. Il luadèl è detto “la schiacciatina dei poveri”, anche se questo pane a pasta sfoglia spalmato di strutto sa esaltare al massimo grado i profumi dei salumi – in primo luogo la spalla cotta – e dei formaggi morbidi cui si accompagna. Il territorio, da sempre vocato alla zootecnia e all’agricoltura, offre squisiti meloni e angurie, pere mantovane, vini lambruschi di Viadana, salse e mostarde.